Sonetàula
Guardando “Sonetàula”, secondo film del regista sardo Salavate Mereu (vincitore, con “Ballo a tre passi”, della Settimana della Critica di Venezia 2003), è impossibile non pensare a “Banditi a Orgosolo”, grande capolavoro di Vittorio DeSeta del 1961. Una terra da sempre inospitale come la Sardegna (origine dello stesso Mereu), un giovane pastore che a metà secolo si trova ingiustamente ad essere ricercato dalla giustizia, un destino tragico che sembra quasi ineluttabile. A livello narrativo le analogie sono molte e, quasi a testimoniare il fil rouge che intercorre tra i due lungometraggi, c’è anche quel Giuseppe Cuccu che in “Banditi…” era il protagonista, qui invece ne è il nonno.
Richiami che fanno di “Sonetàula” non un remake o una versione aggiornata del film di De Seta, ma un importante tassello di completamento della descrizione storica, sociale e soprattutto concettuale su pellicola della terra dei quattro mori. Oltre infatti all’avvincente storia di Giovanni (dipanata in 160 minuti che sono probabilmente troppi, ma che comunque non annoiano), quello che emerge sullo sfondo di questa vicenda raccontata tra il 1937 e il 1950, è il cambiamento della Sardegna e de sardi: l’abbandono graduale della pastorizia, i primi lavori in città, l’arrivo dell’elettricità e il brigantaggio che diventa sempre più armato e violento.
Ispirandosi all’omonimo libro di Giovanni Fiori (scritto all’inizio degli anno ’60), Mereu riesce così a fare del suo protagonista l’espediente per parlare di un ampio periodo storico. Nulla viene troppo esplicitato, sono pochi i dialoghi e le scene che non riguardano il personaggio principale e molto (in termini di spiegazioni) viene dato per scontato dal montaggio, ma atmosfere e suggestioni riescono comunque ad emergere con forza. Merito di una regia sempre attenta a cercare l’empatia con lo spettatore: ben diretti sono gli attori (per lo più esordienti), buona la fotografia, quasi assente la colonna sonora (se non nei titoli di coda). La solitudine fisica e affettiva trascende lo schermo senza cercare né compassione, né condanna, come se fosse una parabola biblica che si può solo ascoltare. Bella la faccia del protagonista Francesco Falchetto: è credibile sia venga accreditata come quella di un tredicenne che come quella di un venticinquenne.

La frase: "Ti ho raccontato di come si possano riconoscere gli uomini dalla risata?".

Andrea D’Addio

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