Ombre dal passato
Campione d’incassi nel 2004 in patria, il thailandese “Shutter”, diretto a quattro mani dagli allora esordienti Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom e giunto nelle nostre sale soltanto nel giugno 2006, si riallacciava senza troppa originalità alla moderna moda dell’horror giapponese lanciata da titoli come “The ring” e “The grudge”, proponendo la vicenda di due giovani innamorati che, pochi giorni dopo essere fuggiti in seguito all’investimento di una donna, si trovavano ad avere a che fare con la progressiva morte dei propri conoscenti, in qualche modo legata a misteriosi aloni spettrali comparsi nelle loro fotografie.
Quindi, un soggetto che con ogni probabilità recuperava l’idea delle anomalie fotografiche interpretate come segnali di morte imminente direttamente da “Il presagio” di Richard Donner e che ora, sostituiti i protagonisti Ananda Everingham e Natthaweeranuch Thongmee con Joshua Jackson (non nuovo al genere, se consideriamo le sue prove in titoli come “Scream 2”, “Urban legend” e “Cursed-Il maleficio”) e Rachel”Transformers”Taylor, rivive nell’immancabile rifacimento a stelle e strisce per mano, però, del giapponese Masayuki Ochiai, autore, tra l’altro, dell’ospedaliere “Infection”.
Rifacimento che, come già successo per i remake di “The eye” e “The call-Non rispondere”, ci spinge ancora una volta ad interrogarci sulla sua effettiva utilità, al di là del fatto che, in maniera analoga al “The grudge” made in USA, sembra quasi suggerire una certa allegoria di taglio politico nella scelta di mantenere le originali fattezze con occhi a mandorla degli spettri.
E, anche se il risultato finale appare decisamente più digeribile del soporifero prototipo per merito di una regia che, sfruttando maggiormente le canzoncine soft pop della colonna sonora e ponendo in secondo piano i toni cupi generali, conferisce una certa “orecchiabilità occidentale” ai lenti ritmi di narrazione tipici della celluloide proveniente dal Sol Levante, non ci troviamo altro che dinanzi all’ennesima ghost-story già vista – al di là di qualche piccola modifica di script – nel corso della cui fruizione l’unica cosa che possono fare gli spettatori è balzare dalla poltrona ogni volta che il sonoro aumenta improvvisamente di volume.
Non tutti gli spettatori, tra l’altro.

La frase: "“Che cos’è?”
“Non lo so, un riflesso o forse un difetto della pellicola”".

Francesco Lomuscio

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