Self/less
Damian Hale (Ben Kingsley) è un tycoon dell’edilizia, è «l’uomo che ha costruito New York», come recita la copertina del «Time» a lui dedicata. Tanto potente quanto umanamente solo, a sessantotto anni scopre che, a causa di un cancro, morirà entro sei mesi. Terrorizzato dall’idea morte, si sottopone allo “shedding”, un trattamento segreto e costosissimo che gli permette di far trasmigrare la sua ancora brillante mente in un corpo giovane e atletico (quello di Ryan Reynolds). Alcuni effetti collaterali dell’operazione però porteranno Damian a fare delle scoperte inaspettate contro le quali cercherà di opporsi.
“Self/Less” è un thriller fantascientifico che parte da un’idea tutt’altro che originale (il tentativo da parte dell’uomo di tardare/vincere la morte) che avrebbe comunque potuto offrire margini migliori se solo lo sviluppo non fosse stato così pigro e convenzionale. Quello che accade in positivo per i grandissimi film, e cioè che ogni elemento, anche il più apparentemente insignificante, contribuisce alla riuscita dell’opera, qui avviene in negativo. È complicato trovare delle virtù ad un film che, comunque lo si guardi, sembra fallire nei suoi intenti. Se voleva essere un thriller, la suspense è assente; se voleva essere un film fantascientifico, alcuni aspetti sono stati trattati troppo superficialmente («Sebbene il mezzo per rinascere a nuova vita sia una tecnologia del tutto rivoluzionaria, abbiamo deciso di non indugiare in dettagli tecnici e di dare alla storia un tono quasi surreale» ha dichiarato David Pastor, che insieme al fratello Alex ha scritto il film). Eppure, sebbene come detto parta da un’idea già vista, per la prima ora il film, tra molte difficoltà, si lascia guardare in modo piuttosto scorrevole. È sin da subito evidente quale sia l’inghippo, la stortura che il protagonista deve risolvere (e questo è, ancora una volta, un male per un thriller) ma la premessa riesce a creare un alone di attesa e aspettativa sul come tutto ciò verrà fatto. Ed è proprio sul come che l’opera presenta le sue più grandi falle: fare un buon film di genere (per quanto sia sempre complicato definire “il genere”) significa riprendere, citare o parodiare dei codici inserendoli nel modo più originale possibile nella trama, in “Self/Less” viene fatta l’operazione inversa: quanto di più visto e convenzionale (di “sicuro”, si potrebbe pensare) viene usato come espediente narrativo, con un evidente quanto segnato destino.
Dal punto di vista attoriale, l’opera poggia quasi esclusivamente sulle spalle di Ryan Reynolds, e non si potrebbe chiedere di peggio: il canadese è goffo e inespressivo, ricoprendo (stavolta sì) a perfezione lo stereotipo del bello e incapace.
Il cinema è, tra le altre cose, un posto nel quale per un paio d’ore si crede ciecamente che un alieno trovato dietro casa, se sistemato in un cestino di una bicicletta, possa far volare un bambino; in “Self/Less” non è credibile nemmeno un inseguimento automobilistico.
La frase:
"Si sente immortale?".
a cura di Alessio Altieri
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