Scott Pilgrim vs. the World
Dalla graphic novel al cinema, con la struttura di un videogioco.
"Scott Pilgrim vs The world" è il frutto di questo trittico materiale artistico: nato dalla mente del cartoonist Brian Lee O’Malley e pubblicato dal 2004 per i successivi sei anni in altrettanti volumi, arriva ora in un’unica versione filmica che raggruppa grosso modo tutte le storie fin qui narrate sul personaggio Scott Pilgrim. Se parliamo anche di videogioco è perché l’impostazione, i riferimenti narrativi e estetici di questo racconto sono i videogames degli anni ’80 e ’90.
Il nostro eroe è, come detto, l’eponimo Scott Pilgrim. Ventidue anni, bassista di una giovane indie band, passione per le sale giochi. La sua missione? Conquistare il cuore della sua amata e poter vivere con lei un’appassionata relazione. Gli ostacoli sono i suoi ex ragazzi, ben sette (e quindi sette sono i quadri), con tanto di supermostro finale. Non si tratta di una pellicola sulla falsariga del non riuscito Super Mario Bros (1993) con Bob Hoskins, ma di una commedia giovanilistica raccontata come se le regole della vita fossero legate dal mondo dei gettoni e degli insert coin per continuare. E quindi suoni, nomi, situazioni impossibili e irreali, obiettivi da sconfiggere per potere andare avanti nella storia.
La fusione riesce alla grande. Il regista Mark Wright, già straordinario autore di "L’alba dei morti dementi" e "Hot Fuzz" (nonché di uno dei faketrailer di Grindhouse, quello delle frasi lancio), ha un’ironia fuori dal comune. Non è solo grottesca e paradossale in maniera vincente, ma alla base ha un’inventiva visiva degna dei più grandi registi di sempre. Non c’è taglio di montaggio, movimento di macchina, soluzione visiva o altro ancora che non voglia scuotere lo spettatore per stupirlo o farlo ridere. Fin dall’inizio si spinge sul pedale della pazzia generale (degli autori, dei personaggi) e così, poco dopo, diventa credibile anche un combattimento volante durante un concerto. Wright non si accontenta di nessun fotogramma, è straordinariamente perfezionista. Il conseguente rischio è che una pellicola del genere sia così densa di battute e citazioni che quasi ci si stanchi a vederla tutta, quasi si senta la necessità di rallentare un attimo per dare modo di godersi appieno i tanti sorprendenti momenti. Se c’è quindi un limite e una ragione per cui un film geniale e perfetta rappresentazione più che mai di un’epoca (i ragazzi cresciuti negli anni ’80 con Nintendo, Gameboy e Megadrive) può non piacere, è proprio nel suo essere "troppo", nel suo stare sempre all’attacco, sempre a caricare. Va troppo veloce, almeno per un’unica visione. Allo stesso tempo però è proprio questo il suo punto di forza: l’ambizione di girare un film come tanti come se fosse "il film degli anni ‘90" (e non solo), lo rende una di quelle pellicole da vedere e rivedere anche fra decenni.
Il cast di attori, a partire da Michael Cera, è straordinariamente diretto (compreso il redivivo Kieran Culkin), con alcuni camei eccezionali per comicità (Brandon Routh, ultimo Superman al cinema, ha nuovamente una sorta di sguardo laser con Clark Kent). Passiamo alle citazioni: sono tantissime, diciamo solo di alcune. Il nome della band di Scott, Sex Bomb-Omb è preso dal cattivo di "Super Mario Bros 2", così come il nome della band di Brie Larson, "Clash at Demonhead" è anche il nome di un videogioco Nintendo. La frusta del personaggio di Roxy Richter è la stessa utilizzata da Ivy nella serie di videogame "Soul Caliber" e il nome Scott Pilgrim viene da una canzone del gruppo "Plumtree" citato anche nel film.

La frase: "La prossima volta non prenderai appuntamenti con ben undici ex fidanzati diavoli".

Andrea D'Addio

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