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Scacco Pazzo
Dopo più di trentacinque anni vissuti da attore (teatrale, televisivo e cinematografico) Alessandro Haber sperimenta il ruolo di regista con un racconto molto difficile da portare sullo schermo. Nato come opera teatrale, "Scacco pazzo", ripropone lo stesso cast del palcoscenico al cinema (senza la direzione dell'indimenticato Nanni Loy, al quale il film è dedicato).
È sempre una sfida tentare di raccontare con un linguaggio per forza diverso (a meno che non si voglia fare del teatro cinematografico), ciò che è stato scritto per un altro ambiente che ha tempi e modi totalmente differenti. La rottura della quarta parete nel film diventa totale perché la macchina da presa può permettersi di girare a trecentosessanta gradi raccontando anche i dettagli. Con ciò non voglio dire che un linguaggio sia meglio dell'altro, anzi tutt'altro. Il cinema ha bisogno del teatro. Se solo guardiamo alla recitazione, possiamo vedere che tutti gli attori che vengono dalle tavole di un palcoscenico (che sia teatro inteso nella sua forma tradizionale, cabaret o avanspettacolo) realizzano magnificamente i loro personaggi anche al cinema o alla televisione. Questo per dire (senza buttarci in disquisizioni che richiederebbero molto più di una recensione) come Alessandro Haber, Vittorio Franceschi e Monica Scattini siano veramente eccezionali anche sul grande schermo.
La storia è quella di due fratelli, Valerio e Antonio, che vivono un rapporto abbastanza particolare. Undici anni prima Valerio stava guidando l'automobile che doveva portare la fidanzata di Antonio in chiesa per il matrimonio. La macchina ebbe un incidente in cui morirono la ragazza e i genitori dei due fratelli. Da quel momento Antonio, che era nella macchina che seguiva, regredirà per sempre in una condizione infantile. L'altro fratello, rimasto incolume, dovrà tutta la vita sostituire (anche attraverso travestimenti) il padre, la madre e la fidanzata in una triste pantomima. In un barlume di speranza si inserisce nel loro rapporto Marianna che si fidanza con Valerio. Ma avrà la forza per poter cambiare le cose? Un unico ambiente e tre soli personaggi: non male per iniziare a fare il lavoro di regista. Ebbene, c'è da dire che Haber riesce perfettamente nell'intento. Già dal piano sequenza che apre il film si capisce che il film sarà interamente condotto in maniera emozionale. D'altra parte trentacinque anni di spettacolo non sono pochi. Inoltre, a prescindere dalla struttura tecnica, il racconto è portato avanti in maniera molto coinvolgente. Si potrebbe definire un dramma della follia, ma tra le righe c'è molto di più: il grigiore di una vita chiusa su se stessa (Valerio), il volo fiabesco di un cuore bambino (Antonio), lo spiazzamento di una storia che vorrebbe solo "normalizzarsi" (Marianna). Ma non è solo questo, in Valerio c'è anche il bisogno di stare vicino al "malato", vuoi per senso di colpa, vuoi per spirito fraterno; in Antonio lo spirito bambino porta con sé anche la cattiveria di quell'età; in Marianna il bisogno di diventare adulta uccide la sua fantasia. È tutto un racconto fatto di sfumature che paradossalmente diventano nette in maniera persino violenta. Ogni personaggio è molto più di quello che inizialmente sembra. Ed è per questo che nessuno riesce a capire l'altro o fa finta di non capire. Alla fine avrà la meglio soltanto chi sarà uscito dall'idea che si era fatto di sé stesso, per poter avere in qualche senso un ruolo (nel film c'è questo momento, ma ovviamente non vi dico da chi è vissuto). E per far questo dovrà tornare a vivere tutto come se le cose "borghesi" non l'avessero mai toccato.
Forse basta soltanto seguire quella vela blu che ogni mattina sta accanto agli occhi, appena ci si sveglia. Se guardiamo bene, ce l'abbiamo tutti.
Renato Massaccesi
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