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Sarà il mio tipo? e altri discorsi sull'amore











Si potrebbe affermare, senza timore di smentita, che Clément (Loïc Corbery) e Jennifer (Émilie Dequenne) non abbiano davvero nulla in comune.
Lui è un giovane e affascinante professore di filosofia di Parigi trasferito, suo malgrado, per un anno ad Arras, cittadina del nord della Francia decisamente troppo tranquilla per lui.
Madre separata, Jennifer è una bella ed esuberante parrucchiera di Arras che vive la sua vita di corsa, dividendosi tra il lavoro al salone di bellezza, la cura del figlio e le serate al karaoke dove si esibisce con le colleghe di lavoro.
Mentre lui legge Kant e Dostoevskij, lei divora romanzi rosa e, attraverso le riviste di gossip, sa praticamente tutto di Jennifer Aniston.
Lontano da Parigi Clément si sente fuori posto ma, quando incontra Jennifer, l'attrazione è inevitabile.
Dopo l'euforia iniziale però, tra i due, iniziano ad emergere le prime differenze, non solo di natura culturale, ma anche riguardanti due visioni antitetiche dell'amore.
Clémente ha un approccio più freddo e una minore capacità di lasciarsi andare mentre Jennifer mette tutta se stessa in una storia quando decide di viverla appieno.
Riusciranno questi due mondi a convivere?
Questa, più o meno, è la domanda che si pone Lucas Belvaux nel delicato film tratto dall'omonimo romanzo di Philippe Vilain, di cui è anche sceneggiatore.
Senza svelare nulla della risposta che il regista sembra abbozzare, basti dire che Sarà il mio tipo? ha il merito di trattare il tema del divario sociale e culturale nella coppia in modo molto leggero, attraverso la felice intuizione di Belvaux di celare istanze anche piuttosto complesse sotto le mentite spoglie di una semplice commedia romantica.
Ma sono la cura complessiva delle immagini e i tempi lunghi di chi non si preoccupa affatto di avere il ritmo e le battute giuste al posto giusto a rivelare, fin da subito, che qui non siamo né dalle parti della classica romantic comedy hollywoodiana né tanto meno della sua variante francese à la Cédric Klaplisch.
Lo si capisce inoltre dai dialoghi, abilissimi nel perseguire un tentativo di mimesi tra finzione e vita reale.
Non c'è, infatti, alcuna ostentazione di scrittura negli scambi di battute tra i due protagonisti e lo stesso iter che li porta dal primo timido approccio alla definizione di un rapporto amoroso viene gestito in maniera stranamente realistica.
Stranamente perché il materiale di partenza (l'incontro-scontro tra due realtà opposte e i vari tentativi per fare in modo che combacino) sarebbe stato oro colato per qualsiasi sceneggiatore alla ricerca della commedia romantica perfetta.
Belvaux invece punta più in alto e, dopo un doveroso quanto funzionale accenno alla dicotomia "metropoli VS. provincia", riduce il suo intervento autoriale al minimo comun denominatore e si concentra sui volti, sui sorrisi, sugli ammiccamenti e su tutto ciò che prelude all'amore.
C'è una tenerezza pudica nel modo che ha la macchina da presa di dilungarsi sui corpi di Clément e Jennifer mentre fanno l'amore per la prima volta che quasi ferisce ed è più o meno la stessa con cui, durante la prima cena fuori dei due, si sofferma sui particolari più kitsch della mise di Jennifer per staccare poi subito sull'espressione di malcelato imbarazzo sul volto di Clément.
Nella sua prima parte Sarà il mio tipo? è tutto costruito sull'accumulo di questi particolari solo apparentemente minimi che lentamente (a tratti anche troppo) portano lo spettatore, quasi senza accorgersene, ad allontanarsi sempre di più dalla prospettiva intellettuale e un po' snob di Clément - di fatto il primo personaggio che vede sullo schermo - per spostare l'asse della propria attenzione su Jennifer.
Ed è proprio in quel momento che il film opera un importante scarto narrativo attraverso il quale il personaggio di lui smette quasi di esistere e lo schermo viene riempito esclusivamente dalla meraviglia del sorriso e degli occhi di Émilie Dequenne (già protagonista di Rosetta per i Dardenne) che prende il film sulle sue fragili spalle e lo traghetta fino ai titoli di coda.
Sarà il mio tipo? smette quindi di essere ciò che è stato fino ad allora, ingrana la marcia del cinema più puro e diventa la storia di una giovane donna e della sua apertura totale all'amore, molto simile (anche se diverso per forma, indirizzo e peso specifico) a quanto mostrato da Abdellatif Kechiche nell'indimenticato La vita di Adele.
Belvaux esplora così il sottile confine tra l'amare e il farsi male affidandosi totalmente all'incantevole interpretazione della sua protagonista. E' evidente nella quantità di primissimi piani che le regala e, in particolare, in quello che la mostra mentre canta I Will Survive al karaoke passando, nell'arco di una manciata di minuti, dal riso al pianto senza far minimamente avvertire il passaggio tra i due stati d'animo.
Ecco, forse il senso del film (come anche dell'amore) sta già tutto in quell'unico primissimo piano.
Alla fine si ride e si piange.
Nel mentre, tutto quello che puoi fare è cercare di sopravvivere.

La frase:
"Scrivere un libro è come fare un taglio, solo che da un lato hai una massa di idee e dall'altro una massa di capelli".

a cura di Fabio Giusti

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