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Sagràscia











A poca distanza dal successo di "Falene", Distribuzione Indipendente presenta l’opera prima del giovane regista sardo Bonifacio Angius, che esordisce con un film dal linguaggio elaborato e dai tratti visionari. "SaGràscia" è la storia di Antoneddu, un ragazzino sardo che, dopo essere uscito illeso da una brutta caduta, viene praticamente costretto dalla nonna ad andare a ringraziare Sant’Antonio per non averlo fatto morire; il bambino è stato miracolato e, anche se non ne capisce bene il motivo, dovrà essere riconoscente al santo che gli ha fatto sa gràscia, la grazia. Questo piccolo accadimento da il via ad un road movie fantastico e visionario, un viaggio lungo cui si incontrano personaggi al limite dell’assurdo e si incappa in situazioni altrettanto grottesche.
Ironia, voglia di riflettere sui grandi temi della vita, di porsi domande esistenziali, anche senza trovare risposta: ognuno di questi elementi concorre all’ottima riuscita di questo film, realizzato con non più di 20mila euro. Poche parole, dialoghi ridotti al minimo, a volte in dialetto così stretto da richiedere l’uso dei sottotitoli; un film assolutamente imprevedibile, lo spettatore non sa mai cosa aspettarsi dall’inquadratura che verrà. L’uso espressivo del sonoro si accompagna al commento musicale di Carlo Doneddu le cui creazioni, spaziando dalla musica popolare sarda ad un ricercato repertorio classico, sono da considerarsi come entità autonome: la musica non è un sottofondo, ma un vero e proprio personaggio.
Angius ammette di aver girato un’opera dal linguaggio difficilmente comprensibile, ma era esattamente ciò che voleva: si tratta di un’autoproduzione, un film interamente "suo", fatto come piace a lui, non come sarebbe piaciuto al grande pubblico. Grande importanza va data, dunque, ai buoni propositi con cui "SaGràscia" è stato concepito: quello che il giovane regista sardo cerca di dire, è qualcosa che può essere espresso solo con il cinema. Angius elabora un’opera molto distante da quei prodotti televisivi che le casalinghe possono "seguire anche di spalle, mentre lavano i piatti": l’azione del guardare riprende di nuovo la sua importanza capitale. Si può affermare, senza riserve, che ci è perfettamente riuscito.
Si tratta di un buon lavoro, tecnicamente molto buono (tra l’altro, anche la fotografia è ad opera di Angius), che prende forza, soprattutto, dalla più nobile delle intenzioni: ricominciare a fare un "cinema puro", che può essere solo cinema, che può parlare solo il suo linguaggio, che può esprimersi solo attraverso immagini.
Un’opera assolutamente moderna, che rifiuta ogni caratteristica dello stile classico. Una narrazione così particolare potrebbe spaventare o scoraggiare il grande pubblico, ma è questa la sfida che Angius e Distribuzione Indipendente stanno, a poco a poco, vincendo.

La frase:
"C’est la vie".

a cura di Fabiola Fortuna

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