Romanzo di una strage
Gli autori del bel "La meglio gioventù" - fecero tanto parlare di sé arrivando a ventilare anche una possibile rinascita del cinema italiano - tornano con un’altra opera complessa e storicamente collocata. Marco Tullio Giordana alla regia e il duo Stefano Rulli e Sandro Petraglia alla sceneggiatura per orchestrare un vero e proprio colossal in piena crisi economica. Là dove non arrivano gli effetti speciali, arriva il nutritissimo cast e la ricostruzione storica che rasenta la perfezione.
Ispirato nel titolo da un noto articolo scritto dal maestro Pasolini sul Corriere della Sera ("Cos’é questo Golpe? Il romanzo delle stragi", 14 novembre 1974), il film ricostruisce con piglio giornalistico gli eventi che portarono alla strage di piazza Fontana a Milano nel 1969. Alla tragica cattura di Giuseppe Pinelli, passando per le indagini del commissario Calabresi e rimbalzando – quasi letteralmente - per l’Italia da una questura a un’altra, da un processo a un altro. Un alternarsi di facce, versioni e suggestioni che tentano, nel film di Giordana, di convogliare a una sola verità...
Film complicatissimo, più da fare che da seguire, questo "Romanzo di una strage". Il regista Giordana però si dimostra all’altezza della situazione, e grazie alla sceneggiatura di Rulli e Petraglia rende esplicita una vicenda che è una specie di tunnel senza luce né uscita. Per la narrazione si sceglie la divisione per capitoli, selezionando qua e là modi di dire giornalistici poi entrati nel gergo storico, come proprio "Autunno caldo" che fa da apertura. Malgrado la punteggiatura precisa, inizialmente il racconto per tasselli è un pochino cervellotico. Fortunatamente più si procede più le cose si fanno logiche, portando nel frattempo e poco a poco a una specie di catarsi con il protagonista Luigi Calabresi (interpretato da Valerio Mastandrea).
Un film che fa dell’asciuttezza la propria cifra stilistica. Un timbro che trascina sia i tempi narrativi - più che altro da cronaca in prima pagina -, sia le interpretazioni - magistrali (o inquietanti?) quelle di Fabrizio Gifuni nei panni di Aldo Moro e di Giorgio Tirabassi in quelli del Professore. E si adegua anche la regia, nerissima, caratterizzata dalla fotografia di Roberto Forza, che si avventura in interni senza luce seguendo una vicenda che sconvolge.
Sulle interpretazioni tocca ancora spendere due parole perché ogni attore e attrice sembra partire da quel famoso "Io so" con cui Pasolini cominciava il suo articolo/sfogo per impostare la propria interpretazione. Trascorsi quarant’anni da quei fatti, il film di Giordana non è solo un bel film, rigoroso e attento oltre misura, ma riesce a riportare a galla i resti di un’antica scialuppa sepolta nel mare della menzogna che circonda questa Italia. Bisogna fare presto, prima che quegli stessi resti si inabissino ancora. Io so, diceva Pasolini. Grazie al film di Marco Tullio Giordana sapremo tutti, e anche stavolta ci sembrerà di non avere le prove.
La frase:
"“…visto che parliamo di fantasia, come dice lei, di un romanzo, facciamo conto che dietro ci sono anche quelli della Cia…".
a cura di Diego Altobelli
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