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RisveglioLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato25 gennaio 2018Voto: 6.5
Un carcere, tante vite che si intrecciano tra loro. Un carcere, che diventa un luogo di condivisione, dove il senso di fratellanza reciproca e la solidarietà sono all’ordine del giorno. Questo ci mostra “Risveglio”, il docufilm realizzato con i detenuti del carcere di Civitavecchia nel laboratorio di cinematerapia. Tanti personaggi, tutti diversi ma accomunati dalla voglia di reagire, di vivere l’esperienza del carcere nei migliore dei modi, lasciandosi trasportare dalla spontaneità e dal rispetto verso l’altro, e cercando di aiutare il prossimo, nonostante tutto. Perché nessuno in galera ha vita facile, ma c’è sempre un modo per risalire, e il laboratorio di cinematerapia è uno di questi. In “Risveglio” vediamo Italo, un detenuto in attesa che le indagini su un omicidio in un cantiere - di cui lui è ritenuto il responsabile dalle autorità - si concludano. È stato lui ad ucciderlo? È stato solo un incidente? Cosa è successo in cantiere quel giorno?
“Risveglio”, il docufilm realizzato con il contributo dei detenuti del carcere di Civitavecchia nel laboratorio di cinematerapia, mostra uno spaccato di vita reale e lo fa con molta semplicità. Il concetto di fondo, infatti, è chiaro sin da subito: mettere in luce le relazioni che si possono instaurare in una galera, insieme alle vite stesse dei suoi protagonisti. Ognuno dei quali con un passato difficile e un presente ancora più spinoso. Il docufilm non ha pretese di alcun tipo, però rende molto bene l’idea che si vuole dare della struttura. Siamo abituati a pensare al carcere come un luogo duro, dove tutti sono contro tutti, dove non c’è armonia. Ma ogni struttura ha un’organizzazione diversa, e a Civitavecchia - così come al carcere di Bollate (Milano) - l’esperienza di vivere dietro le sbarre sembra pesare meno rispetto ad altri posti simili. Gli interpreti, tutti detenuti, raccontano - attraverso la voce, i gesti e la mimica facciale - i loro stati d’animo e i loro problemi personali, insieme al bisogno di condividere con qualcuno le proprie emozioni e disagi interiori. Lo fanno in maniera poco naturale, ma d’altronde è bene ricordare che non stiamo parlando di professionisti. Eppure si nota che la forza di volontà nel riuscire a dare espressività ai loro personaggi e a coglierne tutte le sfumature c’è ed è tanta. Nel docufilm “Risveglio” sono diversi i temi affrontati con la giusta profondità, a partire dal senso di colpa per aver commesso - questo per alcuni dei detenuti coinvolti - determinate azioni illegali, ma che in carcere sembrano aver preso coscienza dello sbaglio commesso e di dover concludere la pena per sentirsi veramente liberi. Ciò che colpisce, infatti, è questa loro consapevolezza che emerge più volte nel corso del progetto del carcere di Civitavecchia, la cui riuscita è dovuta anche ai loro momenti di condivisione - come le scene in cui il gruppo di detenuti canta canzoni come “Io vagabondo” e “Il ragazzo della via Gluck” -, di sostegno reciproco, soprattutto all’inizio e nei confronti di Italo. Quest’ultimo è angosciato perché potrebbe avere ucciso un uomo, è pieno di sensi di colpa perché sentiva il peso della responsabilità. Eppure, grazie al suo compagno di cella e agli altri membri del gruppo, unito all’amore della moglie - disposta a tutto pur di vederlo di nuovo felice (quanto può essere grande l’amore!) - Italo ritroverà il sorriso e una ragione per sperare, fuori e dentro al carcere. Insomma, un film che vale la pena vedere per la forte valenza sociale, ma anche per comprendere una realtà che in molti non comprendono. Perché se è vero che i detenuti hanno le loro colpe e devono scontare la pena fino all’ultimo, è anche giusto comprendere cosa potrebbe celarsi dietro ognuno di loro, cosa stanno passando, come vivono l’esperienza del carcere, ricordando sempre che ogni persona ha i suoi dolori. Non che questo giustifichi gli atti commessi, ma c’è sempre tempo per redimersi e capire i propri errori. E poi chissà, magari non è tutto andato perso per Italo. La frase dal film:
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