Rasputin
Dedicato al compianto critico cinematografico Gregorio Napoli, è dall’onnipresente voce narrante di Franco Nero che viene accompagnato il quinto lungometraggio firmato dal torinese Louis Nero, il quale aveva già avuto modo di dirigere il mitico Django dello schermo in "Hans" (2006) e ne "La rabbia" (2008), oltre che nel corto "Lullaby" (2009).
Un lungometraggio che, attraverso la narrazione storica, affronta il mistero della vita e della morte del "Santo Demonio" Grigorij Efimovič Rasputin, uno dei personaggi più enigmatici e controversi del XX secolo, contadino divenuto consigliere dell’ultimo Zar Nicola II di Russia.
E, partendo dal 19 Dicembre del 1916, è Francesco Cabras a concedere anima e corpo all’uomo che, odiato e temuto nei circoli di governo a causa del suo potere ipnotico nei confronti della coppia imperiale, ha sedotto dame dell’aristocrazia e donne del popolo.
L’uomo che Zarina Alessandra Feodoronova, qui interpretata da Diana Dell’Erba, ha adorato per aver salvato con le facoltà da guaritore suo figlio ed erede al trono, oltre a pagare con la vita l’amore verso il potere di coloro che gli erano a fianco.
Perché è proprio dalla sua tanto famosa quanto misteriosa morte che Louis Nero incomincia a raccontarne le gesta, tirando in ballo anche l’Ottaviano Blitch di "Shadow-L’ombra" (2009) nei panni del comandante Yakov Jurovskij, mentre l’impressione generale, se da un lato è quella di trovarci dinanzi ad uno spettacolo teatrale, dall’altro non può fare a meno di spingerci a pensare ad un fumetto trasferito nello schermo.
Infatti, tra divisioni di quadro e didascalie, sono soprattutto le inquadrature fisse a dominare, permettendo agli attori di sfoggiare al loro interno le lodevoli performance, man mano che l’evolversi della vicenda, caratterizzato da ritmi narrativi decisamente lenti, diventa per lo spettatore sempre più difficoltoso da seguire.
D’altra parte, lo stesso regista dichiara che il suo è un film pittorico, un ponte tra il cinema tradizionale di narrazione, il docu-drama e l’arte visiva, che non dovrebbe essere fruito solo come un prodotto di racconto, ma come un quadro in movimento.
Quindi, al di là del fatto che la qualità del digitale rischi in parte di accostare l’insieme alle soap opera in costume, la cosa migliore da fare è lasciarci avvolgere dall’atmosfera enfatizzata grazie alla notevole cura estetica, immergendoci in una sequela di affascinanti immagini il cui connubio scenografie-musiche finisce per ricordare in diversi momenti alcuni lavori dell’inglese Peter Greenaway.

La frase: "Vieni con me, ti guido io nelle tenebre, non avere paura".

Francesco Lomuscio

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