Precious
Non esiste un modo per descrivere il torpore che si è costretti a vivere quando il destino riserva solo amarezze, a meno che quella condizione non la si ha accollata addosso. Al massimo si possono decifrare spiccioli di momenti criptati, che permangono nella loro veste anonima e non svelano mai in anticipo la propria essenza. Ad ogni modo, però, si tratterebbe nient’altro che d’una mera traduzione del testo, un palese squarcio di quel "velo di Maya" dietro al quale potrebbe rivelarsi tanto un fugace attimo gioioso quanto un eterno disincanto.
È un po’ questa l’atmosfera di "Precious", film vincitore degli Academy Awards per la migliore sceneggiatura non originale e migliore attrice non protagonista. Non solo. La pellicola ha accumulato una vera e propria carovana di premi che vanno dai Golden Globe ai premi del Sundance Film Festival, ai BAFTA, ai Satellite Awards, e che s’è trainata per quasi due anni fino alla nostra penisola dove finalmente uscirà il prossimo 26 novembre.
La storia racconta la complicata condizione socio-familiare di Clarisse "Precious" Jones (Gabourey Sidibe), una sedicenne nella Harlem del 1987, perennemente messa alle strette dalla madre (Mo’Nique, premio Oscar) che giorno dopo giorno vincola la sua libera quotidianità alle compere e ai fornelli.
Non è molto socievole, e sebbene tante ragazze della sua età preferirebbero trascrivere i loro pensieri su un diario, la si ritrova spesso a passeggiare da sola, immersa in un continuo monologo con se stessa in cui prende forma ogni suo recondito desiderio: "vorrei adesso stare sulla copertina di una rivista, ma prima voglio avere un video sul canale BET" afferma in sottofondo alle inquadrature d’apertura. E non è per scelta, bensì per condizione.
Precious non scrive non perché non vuole, ma perché non sa scrivere, ignoranza che le ha però indotto una particolare abilità coi numeri e la matematica in generale.
Inoltre, usa spesso nella medesima frase il condizionale e il presente, chiaro sintomo di una mente ai limiti della tollerabilità, che non sa più cosa credere; di una mente stanca del lunatismo della madre; stuprata psicologicamente dalla claustrofobia del piccolo appartamento in cui vive; terrorizzata dai crepitii della sua gigante educazione dai piedi d’argilla; castrata dal figlio illegittimo nato con la sindrome di Down; delusa dei continui sotterfugi che la madre adotta affinché l’Assistenza Sociale passi loro l’assegno per tirare avanti un altro mese.
In effetti, la giornata di Precious si potrebbe dividere in due momenti, che il regista Lee Daniels fa coincidere con i momenti in cui la protagonista ha gli occhi chiusi, e quelli in cui li ha aperti. La differenza del mondo che le si presenta di fronte rispetto a quello che immagina alle spalle di un paio di palpebre serrate è drammatica, e addirittura raggiunge il vertice nel momento in cui la ragazza vede allo specchio l’esatto opposto di sé, a indicare un rigetto della sua personalità e della fiducia nelle proprie peculiarità.
Lei non solo sogna e desidera, bensì vuole, pretende: pretende pace, pretende comprensione, e soprattutto pretende amore. Perché se lo merita; perché a sedici anni è già una donna matura, e perché anche se con la mente viaggia su red carpet indossando capi di moda, sa bene che il suo fisico non verrà accettato da alcuna rivista giovanile.
Come se non bastasse, Precious si ritrova senza insegnamenti. Non si sa se la sua preside preferisse non avere un individuo come lei nella sua scuola, oppure davvero volesse aiutarla (i suoi comportamenti sono alquanto contraddittori) sta di fatto che è costretta a seguire l’unica "alternativa" alla scuola dell’obbligo, "Each one teach one": ciascuno insegna a uno.
Qui Precious ritrova uno smarrito primo passo verso la serenità, grazie al supporto delle poche compagne di classe, ognuna con un difficoltoso passato alle spalle, e dell’insegnante; è il primo passo di un lungo percorso travagliato sul quale incapperà in flashback di abusi e violenze che hanno fatto sentire eccome le loro ripercussioni in futuro, ma anche di quei momenti in cui l’inferno sartriano non le era ancora divampato attorno; e lotta Precious, lotta tanto finchè ad essere rigettata non sarà più la sua indole, ma la sottomissione alla triste vita a cui la condannavano, appunto, gli altri.
Precious nel flusso della sua giovane età è la speranza e il simbolo della lotta. È la sorgente da cui zampilla voglia di vivere e di imparare. È un vulcano che s’appresta all’eruzione e difatti capace di mettersi contro persino alla propria genitrice. È la fenice maturata precocemente, con la prestanza di chi ha fretta di crescere, che rinasce dalle sue ceneri più forte di prima, ma che quando occorre, non si lascia sfuggire quello scatto furioso se il suo orgoglio viene sperperato da una beffa di troppo.

La frase: "Il viaggio più lungo comincia con il primo passo".

Ivan Germano

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