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Poveri ma ricchiLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio12 dicembre 2016Voto: 7.0
Uno per Tucci e Tucci per uno!
È il motto della famiglia di papà Danilo Tucci cui concede anima e corpo un Christian De Sica grottescamente riccio e biondo, della quale conosciamo i diversi elementi già durante i titoli di testa grazie all’introduzione da parte del figlio piccolo e genio Kevi (proprio così, senza la “n” finale!), incarnato da Giulio Bartolomei. Una famiglia decisamente povera e residente in un paesino del Lazio, ma che vede cambiare la propria tutt’altro che rosea esistenza il giorno in cui vince inaspettatamente cento milioni di euro, come nel lungometraggio francese “Les tuche” da cui prende le mosse la oltre ora e mezza di visione messa in piedi da Fausto Brizzi, ma anche in maniera analoga a quanto accadeva in “Tutti possono arricchire tranne i poveri” di Mauro Severino ad Enrico Montesano e Anna Mazzamauro, freschi di tredici al Totocalcio. Del resto, è proprio quest’ultima a vestire i panni della esilarante nonna Nicoletta pronta a ricorrere a ritocchi estetici una volta che i protagonisti, al fine di evitare di essere perseguitati da sedicenti amici e conoscenti, decidono di fuggire in un lussuosissimo albergo di Milano, città che mamma Loredana alias Lucia Ocone sognava da ragazza, prima di sposarsi. Una Lucia Ocone eccezionale come sempre ed il cui fratello Marcello interpretato da Enrico Brignano non solo si dedica a strambi ibridi tra frutti (si va dalla papanda, miscuglio di papaya e ghianda, al mandocachi e il pompone, che lasciano maggiore spazio a equivoci), ma finisce per perdere la testa per la Valentina che, lavorante nell’hotel dove alloggiano e con le fattezze della Lodovica Comello meglio conosciuta come la Violetta di casa Disney, detesta i ricchi. Un aspetto destinato a fornire il pretesto su cui costruire le gag del bravo attore romano, il quale, costretto a tenere nascosto il suo nuovo status di benestante, subisce furti e si ritrova anche alle prese con una frenetica sequenza che non può fare a meno di richiamarne alla memoria una simile affrontata dal già citato Montesano in “Grand Hotel Excelsior” di Castellano e Pipolo. Soltanto uno dei molti aspetti che rimandano in maniera evidente ad una certa comicità tricolore da grande schermo sfornata negli anni Ottanta, come pure il Bebo Storti calato in un ruolo che non avrebbe affatto sfigurato, a suo tempo, nelle mani del compianto Guido Nicheli. Un Bebo Storti che, insieme all’imitatore Ubaldo Pantani e alla giovanissima Federica Lucaferri, completa il ricco cast di un’operazione dal sapore non poco vanziniano, complice soprattutto la critica agli arricchiti alla sua base. Perché, man mano che ci si chiede se l’amore sia l’unica cosa che non si può comprare e se è vero che per i ricchi è sempre Natale, viene mostrato come i miliardari d’inizio terzo millennio siano tutti low profile, ovvero ecologisti, di sinistra e si spostano su biciclette e macchinette elettriche. Con Gianmarco Tognazzi, Giobbe Covatta, Stefano Ambrogi e il Fabrizio Nardi del duo Pablo e Pedro (senza contare il cameo del presidente della Sampdoria Massimo Ferrero) in brevi apparizioni, per divertire ininterrottamente lo spettatore attraverso una delle migliori prove sfornate dall’autore di “Notte prima degli esami”... la quale, al contempo, invita anche a riflettere sul come un patrimonio necessiti di essere gestito intelligentemente e sul fatto che, pur non essendo tutto nella vita, è meglio quando i soldi ci sono. La frase dal film:
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