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Per un figlio

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Rosanna Donato30 marzo 2017Voto: 7.5
 

  • Foto dal film Per un figlio
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“Per un figlio” di Suranga Deshapriya Katugampala è un docufilm di grande interesse culturale perché non solo mostra una realtà che è sempre più comune al giorno d’oggi, ma mette in luce le differenze culturali tra diverse civiltà. Ambientato nella provincia di una città del nord Italia (Verona), il progetto vede protagonista Sunita, una donna srilankese di mezz’età, costretta a dividere le sue giornate tra il lavoro di badante e un figlio adolescente. Fra loro regna un silenzio pieno di tensioni. È una relazione segnata da molti conflitti. Essendo cresciuto in Italia, il figlio fa esperienza di un'ibridazione culturale difficile da capire per la madre, impegnata a lottare per vivere in un paese al quale non vuole appartenere. Il cast della pellicola è composto da Kaushalya Fernando, Nella Pozzerle e Julian Wijesekara.

La pellicola di Suranga Deshapriya Katugampala è uno di quei documentari che dovrebbe essere visto almeno una volta nella vita.
Innanzi tutto non è affatto banale in termini di sceneggiatura.
L’opera, infatti, offre dialoghi accurati e forti, dai quali traspare su tutta la linea la condizione in cui le figure devono vivere. Spesso sono brevi e diretti, ideali per un documentario. Nel docufilm emerge anche la solitudine delle figure coinvolte: i silenzi al suo interno lanciano un segnale chiaro del disagio e dolore provato da essi.
Inizialmente non è immediato capire cosa la pellicola voglia realmente raccontare perché si assiste a cambi di scenario che rendono difficile comprendere chi sia chi, dove abitano e il collegamento tra le parti.
Il problema è legato al fatto che la situazione, a meno che non ci si informi in maniera adeguata sul progetto, non viene spiegata nelle prime scene. In seguito, però, tutto apparirà più chiaro e le dinamiche tra i personaggi prenderanno una piega molto interessante agli occhi dei più.

In “Per un figlio” la colonna sonora è costituita da musiche di culture diverse, anche se è bene dire che nella pellicola è un aspetto che non ha un ruolo fondamentale in quanto poco utilizzata. Il ritmo è lento ma ideale per esprimere al meglio i contenuti del film.
Il titolo mette subito in risalto il messaggio su cui si erge l’intero docufilm: cosa si è disposti a fare per un figlio? Quali sacrifici? Ma non è l’unico aspetto messo in luce.
Come abbiamo anticipato sopra, nel progetto traspare il senso di solitudine e smarrimento di un ragazzo che vive le sue giornate con gli amici, ma senza sentire accanto a sé la presenza di una madre.
L’adolescente, infatti, prenderà una strada molto differente da quella che Sunita desidera per il figlio, che ormai non riconosce più.
A emergere è anche il tema della carenza di affetto e di quanto spesso i ragazzi non riescano a comprendere a pieno i sacrifici fatti dai propri genitori e le loro scelte. Ma non è solo questo: vediamo come sia facile sbagliare - anche a livello comunicativo - ed essere influenzati da altre persone.

Insomma, ci troviamo di fronte a un’opera ricca di spunti di riflessione, dove nulla di ciò che avviene è lasciato al caso.
Una nota di merito è da attribuire anche alla fotografia che, con le sue tonalità fredde e tendenti allo scuro, rende il problema di fondo che emerge per tutta la su durata ancora più reale, veritiero.
La protagonista Kaushalya Fernando è perfetta nel ruolo di una madre che cerca di ritrovare il legame perduto con il figlio, nonostante il lavoro la tenga spesso lontana da lui. I suoi silenzi incisivi, uniti alla sua grande forza espressiva, regalano al pubblico un’intensità difficile da trovare in un documentario ed esprimono in modo inequivocabile lo stato d’animo del suo personaggio.
Nulla da togliere anche a Nella Pozzerle (l’anziana signora milanese a cui Sunita fa da badante) e Julian Wijesekara (il figlio della protagonista).


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