Pasolini
Abel Ferrara torna a Venezia, dove mancava da tre anni, quando alla 68ima Mostra presentò il suo “4:44 Last Day on Earth”, forse il suo unico film decente negli ultimi dieci anni. Considerato una volta uno dei massimi esponenti del cinema indipendente americano, amato da Martin Scorsese, Ferrara e la sua carriera sembrano ormai scivolati in un buco nero da cui non riescono e riemergere nonostante (rari) barlumi di speranza. Basti pensare a film come “Go Go Tales”(2004), diventato celebre solo per il bacio alla francese tra Asia Argento e un rottweiler, o come il pessimo “Welcome to New York”, presentato poco più di tre mesi fa all’ultimo Festival di Cannes e ufficialmente senza distribuzione.
Basse aspettative, dunque, per questo “Pasolini”, nonostante la grande ambizione di voler raccontare l’ultimo giorno di vita di una personalità complessa come quella dell’intellettuale italiano. Per fortuna si era preparati al peggio, perché è stato proprio il peggio ad arrivare. Le vicende raccontate, così come l’approccio del regista alla materia, non aggiungono assolutamente nulla alla storia pasoliniana, né dal punto di vista storico né come studio di una personalità. Il film si muove quindi sui binari dell’inutile, puntando tutto su riproposizioni di interviste, abbozzi della sua vita da omosessuale (ovvero praticare fellatio nei parchi, il tutto in dettaglio), incontri con Ninetto Davoli, la famiglia e gli amici e la messa in scena dell’idea che Pasolini aveva avuto per la sua opera successiva. È questo l’omaggio che Ferrara vuole regalare al grande regista italiano, ma resta incagliato nella sua ormai quasi totale incapacità di dare qualsiasi forza alle immagini che cercano di ambire a mete più alte, e che invece risultano solo ridicole: non a caso oggi molti americani lo ritengono un regista del trash, il che è sicuramente esagerato ma indicativo dello sbando della sua carriera.
Il vecchio Ninetto Davoli e Riccardo Scamarcio finiscono a Sodoma, “la città dei gay e delle lesbiche”, che fanno l’amore a suon di “Cazzo! Figa! Vaffanculo!”. Ora, se pur ci fosse una riflessione dietro questa sequenza imbarazzante (e come questa molte altre), la regia di Ferrara è incapace nello staccarsi dalla fisicità di quanto è raccontato per indurre lo spettatore a porsi dei quesiti. Insopportabili i dialoghi che passano all’improvviso dall’italiano all’inglese senza alcun motivo apparente, mentre più che discutibile la scena della morte di Pasolini, sorpreso con un ragazzo in spiaggia e ucciso a bastonate da tre coatti di Ostia a suon di “’A frocio! ‘A succhiacazzi!”. Persino l’interpretazione di Willem Defoe, preannunciata come spettacolare, delude.
La frase:
- "Il sesso è politica?"
- "Ma certo: non c’è niente che non sia politico".
a cura di Luca Renucci
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