Zero Dark Thirty
Prima ancora di avere lo schermo nero esclusivamente commentato, fuori campo, da voci appartenenti alle vere telefonate effettuate l’11 Settembre 2001 dai disperati passeggeri degli aerei dirottati dai terroristi islamici, veniamo messi al corrente del fatto che la pellicola in questione è basata su testimonianze dirette di fatti realmente accaduti.
Su sceneggiatura del produttore Mark Boal, il quale già le scrisse e finanziò "The hurt locker" (2008), lungometraggio grazie a cui conquistò il premio Oscar, la californiana classe 1951 Kathryn Bigelow parte da qui per raccontare su celluloide la lunga operazione militare che ha condotto all’uccisione di Osama bin Laden.
Un amalgama di film d’azione, reporting investigativo e dramma che – né opera di finzione, né documentario – prende progressivamente forma attraverso gli occhi di Maya alias Jessica Chastain, giovane agente della CIA specializzata nella cattura di terroristi; man mano che vengono ripercorsi tutti i punti salienti del periodo storico compreso tra la tragedia del World Trade Center e il 2 Maggio 2011, giorno della morte del fondamentalista islamico sunnita.
Infatti, tra violenti interrogatori a detenuti appartenenti ad Al Qaeda e minuziose indagini, si va dalla strage del 29 Maggio 2004 all’esplosione dell’autobomba che, il 20 Settembre di quattro anni dopo, causò oltre sessanta vittime presso l’hotel "Marriott" di Islamabad; passando per l’attentato che portò alla distruzione un autobus londinese il 7 Luglio 2005.
Mentre a dominare, in particolar modo, sono i bei dialoghi scanditi dall’ottimo montaggio di William Goldenberg e Dylan Tichenor, che svolgono in maniera lodevolissima il loro lavoro anche nell’assemblare gli ultimi quaranta minuti di visione, ovvero quelli maggiormente basati sul movimento.
Quaranta minuti di visione che, ambientati nottetempo nel rifugio di bin Laden, si costruiscono efficacemente sulla tensione; forniti di una certa atmosfera horror grazie alle soggettive attraverso i visori a infrarossi, le quali trasmettono quasi i connotati di spettri agli individui immortalati.
Quegli spettri che, appunto, hanno provveduto a terrorizzare concretamente il mondo per oltre dieci anni e la caccia per la cui cattura, sullo schermo, non può fare a meno di manifestare il sapore di un moderno, affascinante western.
Quello stesso sapore che, fin dai tempi del vampire-movie "Il buio si avvicina" (1987), ha caratterizzato un po’ tutte le opere dell’autrice di "Point break-Punto di rottura" (1991); la quale, pur eccedendo in parte in durata (siamo sulle due ore e quaranta circa), si riconferma, senza dubbio, la migliore rappresentante vivente del gentil sesso dietro la macchina da presa.
La frase:
"Qualsiasi americano in Pakistan è un bersaglio".
a cura di Francesco Lomuscio
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