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Oltre il confine
In giorni come questi, in cui la minaccia di una nuova e terribile guerra sembra sempre più prossima, questo film è di un'attualità quasi sconcertate. Ambientato nel 1993 a Torino, racconta la storia di un profugo bosniaco, Reuf (Senad Basic - Welcome to Sarajevo) che per pura coincidenza si ritrova ad assistere un vecchio reduce della seconda guerra mondiale in una casa di riposo gestita dai militari. Scoperto dalle guardie, Reuf viene arrestato. Riesce a scappare grazie alla figlia del vecchio militare, Agnese (Anna Galiena - Senso '45) la quale gli promette che farà di tutto per portare in Italia la sua bambina, Ada. Inizia così l'avventura di questa donna che lascia una vita agiata per recarsi in Bosnia, dove infuria la guerra, per salvare una bambina che non ha mai visto né conosciuto. A legare il suo destino a quello di Ada, sarà il ricordo della sua infanzia, vissuta nel secondo dopoguerra, che per molti versi è simile a quello della piccola. La storia è toccante e commovente, anche se risente di alcune forzature. La realtà dei profughi, gente che scappa dal proprio Paese non perché lo vuole ma perché è costretta, non viene quasi presa in considerazione da quelli che come noi vivono in situazioni agiate, in case calde, con il cibo sempre disponibile. Ben vengano quindi film come questo, che sono volti alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica su questioni così delicate. Ma non credo che sia plausibile la storia di una signora, che presa dal rimorso di non essere stata vicina al padre nelle sue ultime ore di vita, accetta di andare in un focolaio di guerra per salvare una bambina. Accomunare le esperienze di guerra di Ada Reuf e Agnese, è invece una mossa intelligente. Sembra quasi che il regista voglia dimostrare che anche se le esperienze di Agnese sono oramai lontane, legate ai suoi ricordi d'infanzia, che lei aveva in ogni modo cercato di rimuovere, non sono poi così diversi da quelli di chi si ritrova oggi a vivere in mezzo ad un conflitto. Possono cambiare le modalità con cui si fa la guerra, le armi impiegate, i mezzi logistici utilizzati, ma il dolore, la sofferenza della gente comune che si ritrova assediata, sotto i bombardamenti, all'improvviso senza casa e senza le persone care, non cambiano. La reazione che ha la bambina quando Agnese vuole portarla con sé è comprensibile: non si fida di nessuno, preferisce restare da sola in un ospedale fatiscente piuttosto che andare con una sconosciuta che le promette pace e salvezza. La stessa reazione che ha la piccola Agnese quando il padre, psicologicamente instabile a causa di ciò che ha visto sul fronte, la tratta male. Il dolore che le persone che hanno vissuto un'esperienza così traumatica come la guerra si portano dentro, è un dolore fatto di silenzi e di incubi, un dolore che non si può descrivere, che resta sconosciuto ai più. Forse proprio su questo si innesca la perversa macchina dell'odio: se la sofferenza individuale e collettiva viene rimossa, o taciuta, le guerre tenderanno a ripetersi, e tanti altri innocenti si troveranno a dover fare i conti con altro dolore, altre pene.
Teresa Lavanga
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