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Norwegian Wood
Il regista francese di origini vietnamite Tran Anh Hung torna al Lido di Venezia dopo essere stato incoronato vincitore del Leone d’oro nel 1995 con l’opera "Cyclo". Ora, restando fedele al suo spirito e al suo stile personale, propone un adattamento cinematografico di uno dei più famosi romanzi di successo del 1987: "Noruwei No Mori" scritto da Haurki Muratami. La pellicola è molto vicina al romanzo e caratterizzata da lunghi flashback e narrato in prima persona dal protagonista Watanabe Toru, così spesso è presente la voce fuori campo del protagonista che ricorda, riflette. I dialoghi sono scarni, ma proprio per questo vi è un attento studio delle parole e del messaggio che il regista vuole esprimere. Il ricordo del periodo felice dell’infanzia e il dolore per il suicidio del suo migliore amico Kizuki sembra segnare per sempre la vita di Watanabe che cerca di farsi forza e dimenticare o almeno superare lo shock, ma l’incontro, anni dopo a Tokio, con Naoko, amica di infanzia e fidanzata di Kizuki sembra scaraventarlo di nuovo in quel dolore. Fra i due nasce una debole intesa, un’amicizia che lentamente si va modificandosi e rafforzando, diventando amore, ma mano a mano che i loro sentimenti si trasformano, ecco però che i ricordi su Kizuki riemergono sempre più prepotenti. Watanabe e Naoko sono due persone diverse e anche il loro modo di affrontare questa tragedia è diverso tanto che l’amore fra i due diventa impossibile proprio a causa della presenza del "fantasma" di Kizuki, sempre presente nella mente di Naoko. Ben presto la giovane viene ricoverata in un ospedale psichiatrico, mentre Watanabe continua la sua vita di studente universitario, proprio nel periodo dei primi tumulti studenteschi alla fine degli anni ’60. Watanabe compie un percorso di crescita personale attraverso il dolore, diverse strade si aprono davanti a lui e solo sperimentando e vivendo riesce a fare le sue scelte e a capire che tipo di adulto vuole diventare. "Noruwei No Mori" è un’opera romantica e malinconica, di nostalgia, di scoperta e d’amore, di speranza e ottimismo. E’ piena di lirismo che si diffonde con delicatezza senza contrasti o elementi di disturbo, in cui la fotografia, la musica e il paesaggio si combinano insieme creando un corpo unico, diventando espressione dei sentimenti che travolgono i protagonisti. Il regista gioca con i colori e la luce creando effetti di chiaro–scuro che corrispondono in quel momento allo stato d’animo del personaggio. Il regista sembra riflettere sull’aspetto estetico nel tentativo di catturare le sensazioni e le emozioni che sembrano diventare palpabili attraverso l’alternarsi di primi piani e ampie carrellate su paesaggi che sembrano non ancora toccati dalla mano dell’uomo. L’alternarsi delle stagioni e il cambiamento dei colori della natura segna lo scandire del tempo nell’opera e l’acuirsi del dramma dolce, ma amaro al tempo stesso, intriso di pathos e dolore, segno intangibile che spinge Watanabe a diventare un uomo.
La frase: "La vita è troppo breve, non sprecarla con libri che non hanno ricevuto il battesimo del tempo".
Federica Di Bartolo
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