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Non buttiamoci giù











Nick Hornby è ormai abituato alla trasposizione dei suoi romanzi in immagini cinematografiche. E i risultati sono sempre più o meno positivi. Lo scrittore inglese parte magari da problemi singolari, o da estremizzazioni come passioni calcistiche esagerate (Febbre a 90°) o feticismo musicale (Alta Fedeltà), ma comunque si serve di esse per raccontare poi storie della quotidianità.

In questo Non buttiamoci giù, che come avrete probabilmente capito è tratto proprio da un romanzo di Nick Hornby, abbiamo un soggetto molto originale: quattro persone che si incontrano casualmente sulla cima del grattacielo più alto di Londra, la notte di Capodanno, con l'intenzione di farla finita, buttandosi giù. All'interno di un'idea così accattivante si snodano quattro storie differenti, quotidiante se vogliamo, perché ognuno ha un motivo diverso per farla finita: Martin (Pierce Brosnan) è un ex conduttore televisivo che si è rovinato la carriera; Maureen (Toni Collette) ha una vita difficile, con un figlio fortemente disabile; Jess (Imogen Poots) è un'espansiva adolescente sedotta e abbandonata; e infine J.J.(Aaron Paul), musicista fallito, anche lui senza più ragazza. Il ritrovarsi tutti lì nello stesso momento li farà temporaneamente desistere. Ma da lì in poi, le loro vite s’intrecceranno continuamente.

Ecco, più qui che in altri soggetti creati da Hornby, si avverte la pesantezza di storie che fanno uno sforzo per non risultare banali e stereotipate, ma ci riescono soltanto in minima parte, restando in un limbo che lavora poco di fantasia. D'accordo il voler rappresentare una situazione che sia più quotidiana possibile, ma qui sembra che l'accumulo di particolari di ogni singola storia sia gettato tanto per aggiungere un po' di colore fine a se stesso.

Il film si scontra a tratti con situazioni banali e il filo conduttore generale, anche se cerca continuamente di dimostrate il contrario, è prevedibile. In aiuto vengono dialoghi veloci, frizzanti, ironici, soprattutto di un'ironia nera, che fanno secondo noi elevare il personaggio e l'interpretazione di Imogen Poots, classe 1989, una spanna sopra agli altri.

Per quanto riguarda la regia, Pascal Chaumeil è attento e minuzioso, soprattutto nel disporre il quartetto in un modo ben preciso e farlo apparire visivamente ora a coppie di alleati, ora singolarmente, ora tutti insieme. Si arrende a una costruzione narrativa troppo prevedibile, ma l'immagine ha sempre il piglio giusto e il rapido ritmo del film difficilmente cozza contro punti morti.

Il rimedio esiste: se si prende come una storia unica, totale, non scindendo le quattro situazioni distinte degli altrettanti personaggi e quindi come una forza unanime che cerca in tutti i sensi di “non buttarsi giù”, il film è un pretesto per raccontare finalmente quella storia di quotidianità, che da sola riesce a lasciarsi alle spalle qualunque discorso sulla banalità o moralità, perché ha un cuore più grande.

a cura di Matteo Colibazzi

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