Nightmare dal profondo della notte
Chissà se in quel lontano 1984, nel momento in cui le inquadrature di apertura mostravano un misterioso individuo – di cui non veniva immortalato il volto – impegnato ad aggiungere quattro lunghe lame ai polpastrelli di un guanto logoro, il compianto Wes Craven aveva immaginato che non solo stava regalando il suo primo grande successo alla allora piccola società indipendente New Line Cinema, futura finanziatrice della trilogia jacksoniana “Il Signore degli anelli”, ma anche che era appena nata l’icona horror più influente degli anni Ottanta.
Icona horror i cui mostruosi connotati facciali sono in questo caso inizialmente appena visibili, in quanto avvolti dalle tenebre utili a generare la necessaria sensazione di curiosità nei confronti di colui che, sognato sia dalla giovane Tina che dall’amica Nancy, ovvero Amanda Wyss ed Heather Langenkamp, scopriamo soltanto in seguito essere Freddy Krueger, assassino di bambini bruciato vivo, in segreto, dalla popolazione di Springwood e che sembra essere tornato a materializzarsi negli incubi dei figli degli abitanti locali, responsabili della sua morte.
Incubi da cui si rivela obbligatorio svegliarsi prima di finire squartati dagli artigli del boogeyman incarnato dal visitorsiano Robert Englund qui trasformatosi in uno dei nomi fondamentali del genere caro a Dracula e Frankenstein, in quanto pare che l’autore de “L’ultima casa a sinistra” e di “Le colline hanno gli occhi” avesse tratto ispirazione da raccapriccianti fatti di cronaca nera riguardanti dei ragazzi misteriosamente deceduti nel sonno, sfruttando in maniera innovativa – curiosamente nello stesso anno del fanta-politico “Dreamscape – Fuga nell’incubo” ideato dal Chuck Russell poi autore di “Nightmare 3 – I guerrieri del sogno” – la dimensione onirica quale spazio delimitato dove si può concretamente agire e rischiare di rimanere uccisi, una volta accedutavisi tramite la semplice perdita dei sensi.
Dimensione onirica il cui scenario d’azione – che si tratti di una strada o di una caldaia industriale – muta di volta in volta a seconda della situazione reale vissuta dal sognatore, in quanto l’ulteriore tocco di genio della pellicola risiede nel non lasciar intendere immediatamente il momento di addormentamento del personaggio di turno, spiazzando di continuo lo spettatore (citiamo soltanto la sequenza in cui Nancy, a scuola, si alza improvvisamente dal banco per uscire dalla classe, consentendoci capire solo in un secondo tempo essere sprofondata nel sonno).
Tocco di genio che ha contribuito non poco a generare il successo del capostipite di una serie costituita da sette capitoli (senza contare il rifacimento datato 2010, due serie televisive ed il cross over “Freddy vs Jason”) e di cui rappresenta quello più cupo e spaventoso, soprattutto perché ancora tutt’altro che propenso a caratterizzare attraverso ironia e battute umoristiche lo squarta-adolescenti abbigliato con maglione a strisce e cappellaccio, qui bizzarramente primordiale e quasi ennesima variazione del maligno (basta pensare a Tina sospesa in aria come la Regan de “L’esorcista” o al fatto che Nancy, per proteggersi, ricorre perfino al vecchio stratagemma del crocifisso).
E, con un esordiente Johnny Depp incluso nel cast e la memorabile colonna sonora a firma di Charles Bernstein, sono inquietanti immagini da antologia come quella delle bambine che saltano la corda al ralenti cantando una filastrocca e l’altra della vittima risucchiata dal letto e successivamente vomitata in ettolitri di sangue ad impreziosire ancor di più un autentico capolavoro della celluloide della paura che, giustamente vincitore ad Avoriaz del Premio della critica per il film e l’interpretazione della Langenkamp, è stato capace di portare la sua massiccia ventata di innovazione in un periodo artistico privo di stimoli culturali, abbandonato a slasher proto-“Venerdì 13” quasi indistinguibili tra loro e non sempre riuscite trasposizioni dei romanzi di Stephen King.
La frase:
"Non so chi sia, so che porta un maglione rosso e verde, molto sporco, uno strano cappello e ha il viso bruciato, usa dei coltelli come fossero artigli".
a cura di Francesco Lomuscio
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