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Nelle tue mani
Quando Mavi investe con la macchina il giovane Teo i due ancora non si conoscono, ma da quel fortuito incontro sboccia una passione dalla quale nasce Caterina. Malgrado la gravidanza però, Mavi continua a dimostrare di essere una ragazza complicata, dal passato non risolto e turbata da continui sbalzi umorali. Uno di questi la porta perfino a pugnalare il giovane e ad allontanarsi da lui. Ma più i due si allontanano, più si avvicinano...
Viene da chiedersi se in Italia gli sceneggiatori cominceranno mai ad usare un escamotage diverso dall'incidente con la macchina per far incontrare due personaggi. E viene in mente come Woody Allen, invece, usava le automobili nel capolavoro "Io e Annie". Ma si parla di genio, e della intrinseca capacità di saper comunicare le cose. Qui di geni e di capolavori non v'è traccia, e questo malgrado la pellicola di Peter Del Monte (navigato regista dello straniante "Controvento" con Margherita Buy) sia ben diretta e risulti piuttosto interessante: soprattutto per la sua narrazione, così coraggiosamente dilatata nel tempo.
La trama infatti si sviluppa lungo circa dieci anni e racconta la nascita, la morte e la resurrezione di un’estenuante storia d'amore.
Estenuante sì, perché di fondo questo si tratta: una storia d'amore estenuante, plagiata da un disturbo umorale e coltivata solo grazie all'inesauribile pazienza del protagonista (un bravo attore di nome Marco Foschi). A lui Mavi (interpretata da Kasia Smutniak, che in questo film ricorda a tutti di essere un attrice e non una comparsa come in "Caos calmo") fa veramente di tutto: rinfaccia persino un improbabile rapporto sessuale con un giovanissimo pony express che gli regala un figlio e sfiora il ridicolo, facendo capitolare il film proprio nella fase finale.
Intenzioni autoriali - come nella tradizione del regista, buona regia e buona capacità di dirigere gli attori - ma non adeguatamente supportate dalla sceneggiatura, che scivola in più passaggi e mina costantemente una pellicola caratterizzata da un senso di ansia strutturale e formale. In questa angoscia narrativa, come se vi fossero troppe storie da raccontare (la bambina con i genitori separati, la ragazza col disturbo psichiatrico, un padre che muore come in un film western, un altro che forse molestava la figlia...), il film non riesce a fare ciò che si era prefissato. Raccontare l’inquietudine che si prova quando ci si affida, anima e corpo, a una persona che speri non ti lascerà.
Questo noi l'abbiamo capito, malgrado Peter Del Monte non sia stato proprio chiarissimo.
La frase: "...Io ti odio: sei tu che pensi alla rovescia e lo prendi come fosse amore...".
Diego Altobelli
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