Need for Speed
Pubblicata in ventidue lingue in sessanta nazioni, vendendo più di centocinquanta milioni di unità e generando un fatturato di oltre quattro miliardi di dollari, è stata la serie di videogiochi maggiormente venduta al mondo nel filone riguardante le corse automobilistiche.
Su sceneggiatura di John Gatins – che ha scritto il futuristico “Real steel-Cuori d’acciaio” (2011) – e di suo fratello George, proprietari di un’officina a Van Nuys impegnata nel restauro di modelli classici, “Need for speed”, diffuso per la prima volta nel 1994 dalla EA Entertainment (divisione della Electronic Arts), si aggiunge alla già folta schiera dei cineVgame, sotto la regia di Scott Waugh, stuntman dalla lunga carriera che aveva avuto modo di cimentarsi dietro la macchina da presa tramite “Act of valor” (2012), incentrato su una squadra d’elite dei Navy SEAL e interpretato da veri soldati.
Per questo abbastanza realistiche appaiono le scorribande sull’asfalto presenti all’interno delle oltre due ore di visione riguardanti l’onesto meccanico Tobey Marshall, che, incarnato dall’Aaron Paul della serie televisiva “Breaking bad”, finisce in prigione a causa di un crimine che non ha commesso, trascorrendo i due anni successivi nel solo pensiero della vendetta contro i suoi nemici.
A cominciare dall’ex pilota del circuito NASCAR Dino Brewster alias Dominic Cooper, il cui cognome spinge tanto a pensare ad un omaggio alla Jordana Brewster protagonista del popolarissimo franchise cinematografico “Fast & furious”, autentico punto di riferimento per tutti gli amanti dei possenti bolidi da schermo.
Del resto, sebbene l’intenzione del regista fosse quella di riallacciarsi alla tendenza anni Sessanta e Settanta dell’asfalto su celluloide che ha sfornato cult del calibro di “Bullit” (1968), “Il braccio violento della legge” (1971), “Punto zero” (1971), “Grand prix” (1966) e “Duel” (1971), man mano che i fotogrammi scorrono è impossibile non avvertire l’aria della saga che ha regalato la notorietà a Vin Diesel e al compianto Paul Walker.
Anche se, fin dalla iniziale presentazione dei personaggi, tra cui il Monarch, ex corridore che, con le fattezze del veterano Michael Keaton, si trova dietro all’avvincente trofeo De Leon, quello in possesso del film di Scott è, purtroppo, quasi lo stesso respiro del giovanilistico “The fast and the furious: Tokyo drift” (2006), ovvero uno dei tasselli meno riusciti sulle avventure di Dominic Toretto e compagni di volante.
Quindi, sgommate e gare a tutta velocità sono tutt’altro che assenti, ma, tra immancabile storia d’amore ed originalità destinata completamente a latitare, l’insieme non può fare a meno di risultare fiacco e molto poco coinvolgente, nonostante l’abbondanza d’azione.
E non parliamo degli attori decisamente mal diretti...
La frase:
"Sembra una scena di ‘Speed’".
a cura di Francesco Lomuscio
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