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Mr. Holmes - il mistero del caso irrisolto











“Mr Holmes - Il mistero del caso irrisolto” racconta la storia del più famoso detective del mondo sotto una luce nuova e diversa.
1947, Sherlock Homes (Ian Mckellen), ormai anziano, si è ritirato nella sua fattoria sulla costa inglese, dove trascorre gli ultimi anni della propria vita allevando api, in compagnia di una governante e del giovane figlio di lei, Roger. Tormentato dal ricordo della sua ultima indagine, il mistero della donna del guanto, Holmes si confida con il ragazzo e ripercorre con lui le circostanze di quell’unico caso rimasto irrisolto e che lo costrinse anni prima a ritirarsi.
Bill Condon firma questa pellicola sullo Sherlock Holmes che arriva da “A slight trick of the mind”, romanzo di Mitch Cullin.
Chi scrive aspettava la pellicola con ansia, anche per via di un ottimo trailer che tuttavia ha però tratto in inganno.
Il film si rivela, infatti (purtroppo) ben presto per quello che è: una storiella che attrae lo spettatore con la promessa di intrighi oltre i confini della terza età, ma che alla fine della fiera offre solo l’esagerazione irrispettosa di quest’ultima.
La sceneggiatura è blanda e le quasi due ore di cui consta la pellicola sono difficilmente spiegabili, assimilabili e accettabili per quanto si osserva sullo schermo. Scene e personaggi sono scritti e si susseguono sullo schermo con una prevedibilità ai limiti della preveggenza. Il detective anziano che fa pace con la vita. Il ragazzino curioso che ricorda al detective se stesso e che impersonifica il figlio mai avuto. La badante che interpreta l’umiltà e il substrato sociale su cui l’eccellenza si issa e che merita quindi il proprio riconoscimento e una sorta di ringraziamento imposto dal buonismo che permea il contesto sociale.
Tutto questo in un quadro nel quale Holmes viene destrutturato e spogliato (impietosamente) dei suoi elementi più simbolici (pipa, cappello...), un po’ come se James Bond andasse in giro con la Panda a sparare bolle di sapone ai vigili urbani.
Quindi da un lato abbiamo un film su Sherlock Holmes che non parla di Sherlock Holmes e dall’altro abbiamo una storiella familiare che si sviluppa secondo i più classici (e mediocri) canoni del genere.
Ian Mckellen ammalia, i primi dieci minuti, poi passa la restante ora e mezza e ci si chiede perché infierire così e così tanto, gigioneggiando oltre misura e caricando in maniera così esagerata un personaggio che invece dovrebbe distinguersi per stile e compostezza. Un’enfatizzazione brutale dell’anzianità tra boccacce, perdite di lucidità e cadute dal letto a dir poco irreali.
Il tutto si sublima con la risoluzione del mistero che non è un mistero e col tanto sospirato momento topico emotivo che sbloccherà tutta la matassa. In compenso molte, moltissime, api.
Bill Condon ci ha abituati a qualcosa di meglio, nettamente meglio. Le musiche dei Two Steps From Hell salvano la situazione fin dove possibile, ma purtroppo non basta.
In tutto ciò la cosa più grave, a parte la noia e l’incapacità di creare empatia da parte della pellicola, è che in tutto il film vi è un solo dialogo degno di nota. Uno soltanto. E sto provando a ricordarlo da quando sono uscito dal film, ma senza riuscirci.
Questo film può farvi sentire come il suo protagonista, Sherlock Holmes, ma la domanda è: siete sicuri di volerlo davvero?

La frase:
"Ha qualche rimpianto? Sì moltissimi".

a cura di Jacopo Landi

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