Mia madre
“Kevin Spacey voleva uccidermi”.
Trovare un altro film nel quale si racconta del tragico – quanto tristemente noto per esperienze personali - percorso di due figli che seguono la malattia della propria madre, fino al suo epilogo, nel quale è inserita una battuta come quella soprariportata (che il nutrito nucleo di sceneggiatori fanno pronunciare ad uno stralunato John Turturro mentre racconta dei suoi deliri onirici di consumato attore americano), così surreale così fortemente comica, non è facile. Ci vuole padronanza nella scrittura di un film, cifra stilistica forte e ben delineata, intento chiaro e soprattutto capacità di mettersi in gioco e di denudare i propri sentimenti, anche quelli più intimi, compiendo un percorso di introspezione che non tutti, anzi pochi, sono disposti a fare. Perché quello che affiora da questo film è come, uno degli autori più personali, e più schivi, del cinema degli ultimi 30 anni sia capace di veicolare la propria vita, nei momenti di gioia e di dolore, senza mai cadere nello stucchevole o nell’autocommiserazione.
Moretti parla di se, della sua personalissima vicenda, con eleganza e leggerezza. E lo fa tramite il suo alter ego, il personaggio interpretato da Margherita Buy, una regista impegnata nella lavorazione di un film “sociale” (operai che perdono il lavoro a causa di un cambio al vertice dell’azienda): artista, figlia di una madre malata (Giulia Lazzarini, attrice dalla lunga esperienza teatrale) e a sua volta madre di una ragazza con i tipici e consueti problemi adolescenziali. Tre generazioni, dunque, attraversate dal comune amore per un mondo classico – il latino, una letteratura che scompare, una lingua di cui si fa sempre più fatica ad apprezzarne le qualità – ma al quale ci si aggrappa per affermare, e riaffermare, una propria coscienza, individuale e collettiva. Accanto a Margherita c’è Nanni, nel ruolo del fratello, curiosamente, ma fino ad un certo punto, con un’anima più femminile e più protettiva, più capace di comprendere se stesso e la sorella: se in Margherita il regista rispecchia se stesso, nel personaggio da lui stesso interpretato sembra voler invece proiettare un se stesso al quale vorrebbe tendere... un Nanni Moretti che verrà...
E se Moretti parla di se stesso così profondamente, non può ovviamente prescindere dal dare uno sguardo al cinema, commosso, divertito e critico al tempo stesso. Le citazioni - serie o semiserie – sono moltissime. Da Fellini, a Kubrick fino all’onirica quanto suadente sequenza della fila – lunghissima – davanti all‘(ex) cinema Capranichetta a Roma, in attesa di entrare per assistere alla proiezione di “Il cielo sopra Berlino”. E lì che Moretti dice – e si dice, autocitandosi – “fai qualcosa di nuovo, di diverso, rompi almeno un tuo schema”. Quella fila, di spettatori passati e futuri, si snoda come un serpente per le vie di una Roma notturna, fantastica e misteriosa.
Un film toccante e commovente, dunque, impreziosito da John Turturro la cui fisicità e la cui presenza riempie le scene arricchendole di sfumature e nuance, estranee al cinema di casa nostra e che rimarcano le peculiarità di uno degli attori più bravi della sua generazione.
Il suo balletto sulle note di un ritmo orientaleggiante è assolutamente travolgente...
La frase:
"Ma come ti è venuto in mente di far un film sulle persone che perdono il lavoro?".
a cura di Daniele Sesti
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