Mea Maxima Culpa - Silenzio nella casa di Dio
L’emittente televisiva HBO non si smentisce mai. Dal 1972 non ha smesso di produrre capolavori, per la televisione come per il cinema, e leggerne l’acronimo su uno schermo è ormai garanzia di originalità e qualità. Inutile dire che anche "Mea maxima culpa" è un documentario davvero valido che, come spesso accade con i prodotti di Home Box Office, farà parlare, discutere e riflettere per via delle tematiche trattate.
Il regista Alex Gibney sceglie di raccontare un problema di entità mondiale, la pedofilia in ambito religioso, partendo dagli orribili fatti dell’istituto per non udenti S. John di Milwaukee, dove negli anni ’60 e ’70 padre Lawrence Murphy abusò di più di 200 bambini. Dal Wisconsin, l’inchiesta di Gibney si muove in Irlanda e nello Stato vaticano: l’autore ci racconta con grande sobrietà e perizia i crimini di personalità come Marcial Maciel Degolado e la totale indifferenza dei piani alti (in questo caso, Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi).
Ad iniziare il racconto e a portare le testimonianze più intense, sono quattro coraggiosi uomini sordomuti che da bambini furono violentati da padre Murphy mentre studiavano al S. John, e che da adulti hanno denunciato i suoi crimini alle autorità e all’opinione pubblica. Terry, Gary, Arthur e Bob sono esempi di orgoglio, forza e dignità. Proprio in quell’uomo di chiesa i bambini sordi trovavano una persona di cui fidarsi, un uomo buono che sapeva capirli (anche nel senso pratico del termine, attraverso la lingua dei segni) e che avrebbe potuto guidarli. Implicazioni come queste rendono ancora peggiore l’esperienza, già di per sé distruttiva, vissuta delle vittime.
"Mea maxima culpa" ruota intorno a due realtà molto radicate nell’opinione pubblica che permettono all’istituzione religiosa di "formare, proteggere e difendere dei molestatori", come afferma uno degli esperti intervistati dal regista: il clericalismo e l’omertà.
Il primo agisce sulla mente della popolazione, fa sì che un prete, un vescovo, un papa, non siano "uomini comuni", bensì uomini superiori al resto dell’umanità (anche superiori alla legge in alcuni casi), dunque è impossibile che commettano atti così atroci. A questa infondata convinzione si aggiunge l’atteggiamento omertoso dei piani alti del clero che ben conoscono questo problema ma che puntualmente negano, minimizzano e, infine, censurano. Il sottotitolo "Silenzio nella casa di Dio" si presta dunque a due interpretazioni: si fa chiaro riferimento al silenzio fisiologico in cui vivono i sordi, ma soprattutto si vuole sottolineare quanto il non dire e il non denunciare questi crimini sia deleterio per la giustizia.
L’inchiesta non si sofferma solo sul caso agghiacciante del S. John, ma va a toccare anche la questione dell’istituto per sordi di Verona, dove successero le stesse cose. All’interno del documentario ci sono numerose tappe che il regista percorre con grande competenza tecnica e abilità nello sfruttare il linguaggio cinematografico: seppure il suo film sia piuttosto classico nell’impostazione, vediamo alcune sequenze molto creative che arricchiscono il contenuto già molto forte.
In chiusura, si potrebbe citare uno dei soggetti intervistati da Gibney: in Italia di questo non si può parlare. "Mea maxima culpa" attacca questo concetto, questo modo di pensare retrogrado e ingiusto; lo colpisce e fa il primo passo verso la sua eliminazione.
Il fatto che questo documentario venga distribuito nel nostro Paese non è cosa da poco, bisogna ricordarlo.
La frase:
"Puoi anche non praticare il celibato, ma se rimane un segreto va tutto bene".
a cura di Fabiola Fortuna
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