Storia di Marie e Julien
Julien (Jerzy Radziwilowicz) è un quarantenne orologiaio. In una grande casa a più piani, è contornato di meccanismi di orologi: dal pendolo a muro agli ingranaggi di uno antico da campanile. Sogna una donna che ha conosciuto ad una festa più di un anno prima e la incontra fuori un bistrot. Invitato a cena la seduce, se ne innamora, la perde, la ritrova grazie ad una telefonata amica che lo rimette sulle sue tracce, e finalmente la porta a casa sua, a vivere. Nasce l'amore. Marie (Emmanuelle Béart) comincia ad indagare sulla vita di Julien. Aveva una donna della quale non serba alcun bel ricordo, ha una casa decadente con tante stanze che può riorganizzare come meglio crede. Ne sceglie una e la comincia ad arredare. Squilla il telefono. È Madame X, una donna che Julien ricatta, essendo in possesso di documenti che provano la falsità di tessuti da lei importati. Marie interviene nella trattativa. Va lei a prendere la prima tranche del riscatto, ed incontra la sorella di Madame X che le consegna una lettera. Le due si guardano e riconoscono nei loro occhi un destino comune.
L'amore cresce insieme all'incomprensione, alla distanza, all'abisso che separa gli amanti. Marie si ferisce ma non perde sangue. Sparisce. Julien indaga sul suo passato e scopre in un vecchio appartamento dove lei abitava, una stanza identica a quella arredata all'ultimo piano di casa sua. Una scaletta, un mappamondo, un gancio dove attaccare una corda.
Marie vive, come la sorella di Madame X, in un mondo parallelo. Né viva né morta, in attesa di qualcuno che per odio o per amore la spinga da una parte o dall'altra, tirandola fuori dal limbo in cui non può sentirsi né bene né male, nel quale non può soffrire e tanto meno gioire dell'amore incondizionato che Julien è pronto a regalarle, al punto di tentare anch'egli il suicidio per raggiungerla e starle più vicino.
A 27 anni dal primo ciak, Jacques Rivette torna su questa storia d'amore e di fantasmi, di odio e suicidio. Alternando sogni e realtà, dipana lentamente una matassa fatta di incontri, addii, sacrifici e prove d'amore. Jerzy Radziwilowicz (L'uomo di marmo, L'uomo di ferro, Passion e Sans fin) interpreta bene il certosino artigiano alla ricerca del tempo perduto, sempre attento a misurare le variazioni del personaggio in sintonia con il tic tac del pendolo che ripara.
Emmanuelle Béart (Mission impossible, Otto donne e un mistero) non fallisce nell'interpretazione di una morta vivente molto sensuale ed apparentemente scostante; non tradisce sentimenti ultraterreni finché la sua pelle tagliata e non sanguinante la rivela un'anima sospesa in attesa di destinazione.
Il film scorre lento come il flusso dell'amore che ingabbia i due protagonisti, un po' ristagna nelle loro effusioni ed erotiche contorsioni, per poi puntare dritto verso un finale meno drammatico di ciò che si poteva immaginare. Un po' cupo, ma si sa, il regno dei morti viventi più che mostrare, lascia intravedere, più che dire lascia presagire, più che rivelare, lascia sperare. La scomposizione del tempo attraverso il meccanico smontaggio e riassemblamento delle rotelle degli orologi, induce lo spettatore ad abbandonarsi in un mondo senza tempo, dove l'unica salvezza contro la dannazione eterna è l'amore, di qualcuno, che ci lascia morire sereni, o vivere per sempre nei suoi ricordi.

Andrea Monti

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