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Magic in the Moonlight











E’ il 1928 e il famoso prestigiatore Wei Ling Soo si esibisce in trucchi di magia facendo sparire un elefante sul palcoscenico o “teletrasportandosi” da un sarcofago egizio ad una sedia di fronte agli occhi meravigliati del pubblico. Uno spettacolo perfetto, ma non per Wei Ling Soo nome d’arte del gentiluomo inglese Stanley Crawford (Colin Firth) che esige la perfezione vera inveendo, dietro le quinte, contro tutto e tutti. Irritato si rinchiude nel camerino quando entra il suo amico di infanzia, nonché collega Howard che lo prega di aiutarlo a smascherare una medium ospite dei Catledge sulla Costa Azzurra. Una proposta allettante per un uomo che si definisce “razionale in un mondo razionale”, tanto più che smascherare questo genere di imbroglioni è praticamente la sua passione. Giunti alla residenza dei Catledge si spaccia per il cinico imprenditore Stanley Taplinger ed è così che incontra Sophie Baker (Emma Stone), la fantomatica medium. Fra scontri verbali sempre comunque educati, fra gite al mare e nella solare Provenza, fra sedute spiritiche e temporali, Stanley comincerà a guardare Sophie in maniera diversa, arrivando perfino a credere che sia veramente dotata di un potere straordinario, che darebbe una risposta vera alle tante domande dell’uomo, ma soprattutto alle sue: esiste davvero qualcosa al di là della vita, esiste Dio? Il mondo ai suoi occhi inizia a cambiare e diventa più luminoso e colorato, ma soprattutto sono i suoi sentimenti a cambiare e inconsciamente si ritrova ad amare la giovane Sophie. Lo sfortunato incidente dell’adorata zia però riporterà ben presto il cinico prestigiatore alla realtà, ma... riuscirà a fare i conti con l’amore?
Il nuovo film di Woody Allen come regista è un’allegra commedia vagamente romantica, che con leggerezza tratta temi cari al regista stesso, infatti, è ben noto il suo interesse per la magia, ma come sempre in tutte le sue opere, le domande restano irrisolte. La critica lo ha definito una delle opere più romantiche di Allen, in cui i protagonisti sono ben delineati anche se forse un po’ affettati ed esagerati a livello di toni, ricordando personaggi della letteratura. E’ così che Stanley sembra oscillare fra il cinismo tipico dei personaggi di Oscar Wilde e l’integrità morale e durezza di Jane Austin. Ecco dunque un Firth, che indossa inavvertitamente i panni del celebre Darcy di “Orgoglio e Pregiudizio” e al tempo stesso mostra carattere duro e insopportabile simile a tanti personaggi di Moliere e Goldoni.
Vero e falso dunque si contendono la scena, sviluppandosi e annodandosi per tutta la sequenza della pellicola, che in principio fa ben sperare grazie ai dialoghi cinici e salaci, che catturano l’attenzione del pubblico, per poi perdere la loro forza iniziale, contribuendo a rallentare l’opera che diventa nella sua seconda parte alquanto noiosa. Tutto rallenta e si appesantisce proprio quando la magia dell’amore diventa il tema centrale eppure non c’è coinvolgimento da parte del pubblico.
“Magic in the Moonlight” è un’opera complessa che dibatte su temi importanti e universali, ma che può essere riassunta semplicemente nella frase di zia Vanessa: “Il mondo forse non ha uno scopo, ma non è del tutto privo di magia”.

La frase:
"Non esiste nulla di genuino Howard dal tavolo a tre piedi al Vaticano".

a cura di Federica Di Bartolo

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