L'ultimo dominatore dell'aria
Per la sua nona regia, M. Night Shyamalan sceglie una serie televisiva di successo, come base della sua sceneggiatura. Non a caso, la scelta è ricaduta su "Avatar: La leggenda di Aang", prodotto sufficientemente imbevuto di filosofia zen e suggestioni orientaleggianti e che ha anche il pregio di permettere al cineasta americano di continuare quel percorso del thriller psico-logico-analitico iniziato col "Sesto Senso" e proseguito nelle sue opere successive, pur con alterne fortune. Film di ambientazione tipicamente fantasy, e come tale inevitabilmente confrontato con la trilogia del "Signore degli Anelli", riesce a mantenere una sua peculiarità soprattutto grazie allo scavo psicologico dei personaggi che la cifra stilistica di Shyamalan enfatizza nella narrazione. La storia è quella di Aang, l'ultimo dominatore dell'aria la cui venuta era profetizzata. Con il suo arrivo, e grazie all'aiuto dei due fratelli Katara e Sokka, combatterà gli attacchi della Nazione del Fuoco, riportando l'equilibrio nel mondo lacerato dalla guerra. Come detto, molti sono i riferimenti filosofici, come il richiamo ai quattro elementi (le popolazioni sono quelle dell'acqua, dell'aria, della terra e del fuoco) o ai concetti di Yin e dello Yang, simbolicamente rappresentati da due pesci. Anche la rappresentazione delle quattro nazioni è specificata da caratteristiche, sia somatiche che tecniche, che ne identificano le peculiarità, in particolare per la Nazione del Fuoco, l'unica ad essersi evoluta dallo stato tribale, e per questo quella più violenta per chi volesse intravedere anche un messaggio, dove dominano i rossi cupi ed i neri metallici. Film, dunque, curato nei dettagli, quasi interamente girato in Groenlandia, dove Shyamalan dà sfogo anche alle sue passioni mai nascoste come quella per le arti marziali. Il fantasy, dunque, si stempera nel wuxia, o, fate voi, si esalta nei combattimenti corpo a corpo, con balzi prodigiosi ed altre mirabolanti acrobazie. La stessa battaglia finale, combattuta dentro la spettacolare città del ghiaccio, è tra le più incruente che la storia del cinema ricordi. Non una goccia di sangue, nonostante i lunghi combattimenti tra migliaia di uomini. Gli attori sono tutti giovani promesse, tra l'altro anche campioni di Taekwondo, a partire da quel Dev Patel già protagonista di "The Millionaire", che il regista dirige esaltandone i tratti più introspettivi. Il film è il primo di una trilogia.
La frase: "E' proprio nei cuori che si vincono tutte le guerre".
Daniele Sesti
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