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Looper - In fuga dal passato











Maschera il proprio volto, dissimula gesti e trama nell'ombra e di qualsiasi forma si appropri, il passato torna sempre. Per il looper Joe, si tratta semplicemente del suo sé invecchiato, una copia indurita delle sembianze attuali, più veloce e scaltro, motivato da ricordi che prendono forma dalle azioni presenti, con una forza dolorosa da imprimersi sulla pelle cicatrizzata. Killer professionisti, i looper hanno il compito di seppellire quei mostri che il futuro respinge, feccia criminale che intasa il naturale svolgersi degli eventi.
Peccato che la stessa etica comporti il sacrificio dei looper stessi, nella prospettiva di evitare possibili inconvenienti. Le difficoltà arrivano proprio quando gli occhi veterani del proprio riflesso futuro fissano quelli avidi di conoscenza di un più giovane e incerto presente. Alla terza regia dopo Brick e The Brothers Bloom, con questo Looper Rian Johnson riesce a coniugare un passato indie con l'attualità mercificata dei migliori blockbuster. Il film trae la sua forza proprio dall'accostamento di vecchio e nuovo, in un thriller fantascientifico che saccheggia a piene mani dalla scatola magica di tante icone e codici, stereotipi del genere e declinazioni variate di storiche fonti. Il grigiore tetro di un mondo futuro non riserva macchine volanti e amenità tecnologiche di un progresso senza fine.
Piuttosto si sceglie di rivisitare il topos "pop" dei viaggi nel tempo, qui ribaltato dall'interno come mezzo illegale al servizio della criminalità. I perfetti ingranaggi di uno show spettacolare non vengono mai incrinati dalla struttura complessa dello script, che si piega invece a febbrili risvolti funzionali a mantenere viva l'attenzione senza perdere il riferimento obbligato di quelle logiche interne che non devono venire meno. In un turbine di colpi e polvere, lo sfondo underground finisce per deviare in corsa verso una soleggiata campagna dal respiro mozzato per le inevitabili ricadute di un effetto domino, potenziato dai poteri metafisici di un piccolo prodigio della telecinesi. Gli incastri perfetti di un contesto scandito da rintocchi vira verso una piega insolita nel momento in cui un ingranaggio intoppa il nucleo propulsore che governa l'intero sistema a orologeria. Dal contesto urbano si giunge in una visione paesaggistica che profila un mondo edulcorato, definitivamente fugato dopo la semina di coltivate speranze su un suolo di purificazione. Da tempo, tuttavia, viene insegnato che non c'è catarsi senza tragedia. Tra riferimenti che sfiorano un arco spazio-temporale fitto degli insegnamenti di un intero patrimonio collettivo, possono riconoscersi accenti della più popolare fantascienza con debiti che omaggiano tante pagine di Dick, Wells e Asimov. L'incedere di un martellante svolgimento al servizio di una messa in scena propria dei migliori action si rivolge claustrofobicamente nella dimensione interna. I sentimenti manovrano le azioni e offuscano i pensieri, nonostante si conservi un briciolo di lucidità riservata alla salvezza del destino umano. I muscoli e le scintille metalliche di Bruce Willis riaccendono quell'icona propria di un cinema d'azione che ha fatto storia capace però di reinventarsi senza cadere nell'eterno stereotipo, affiancato ad un Jason Gordon-Levitt costretto a stringere su espressioni più dure. L'atavica smania di dominazione si ritorce contro quegli stessi artefici che l'hanno resa possibile, con un'eco che dal testo cinematografico si estende alla sfera quotidiana di una contemporaneità corrotta e contaminata. A ricordare a tutti che a volte non è possibile rimuovere quei fantasmi che ognuno porta con sé, molto spesso troppo aderenti al sangue e al corpo di chi li ha nutriti.

La frase:
"Tra trent’anni da adesso sarà ieri".

a cura di Marta Gasparroni

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