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L'isola dei caniLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Giacomo Vitali25 febbraio 2018Voto: 7.0
Nel Giappone del 2038, nella avveniristica città di Megayashi, le razze canine costituiscono una minaccia per la salute e la sicurezza pubblica. Questo l’incipit del film di animazione di Wes Anderson che affronta con realismo e un pizzico di umorismo la complessa problematica della convivenza (civile) e della dialettica fra esseri umani e animali, fra creature forti e creature deboli, fra governo e cittadini, fra potere e scienza.
Quando la bramosia di potere e di dominio dell’uomo sull’uomo e sugli altri esseri viventi sconfinano nella corruzione e nella censura della Medicina e del progresso scientifico, l’intera comunità mondiale è in grave pericolo, sotto scacco. Quando ai sentimenti e ai valori della famiglia, della fedeltà e dell’appartenenza reciproca si sostituiscono la ragion di Stato e la perpetuazione di un sistema di controllo collettivo, allora sono i membri più fragili e indifesi a pagare scotto e ad essere additati, complice l’anestetizzazione dell’opinione pubblica, come capro espiatorio dei mali della società. Da una parte si staglia la civiltà, arroccata nel mantenimento dei suoi privilegi e del benessere faticosamente conquistati, dall’altra l’isola dell’esilio, destinata ad essere “discarica a cielo aperto” per la quarantena di quanti vengono scartati e considerati dei veri e propri “rifiuti della comunità”. I “paria” di ogni società e di ogni tempo -nel caso di Anderson si tratta di “malati”, affetti da influenza canina- impersonati da cani di compagnia, sono i protagonisti di questo universo distopico, nel quale soltanto un ragazzo, Atari Kobayashi, è capace di umanità: di provare quel sentimento di compassione e di tenerezza che gli adulti hanno deciso di archiviare e mettere al bando, forse timorosi di perdere il controllo su se stessi e sul proprio mondo. La resistenza interna del partito della Scienza è piegata, così come la stampa e la libera informazione, totalmente asservite agli interessi dell’ordine costituito. Ed è solo grazie al coraggio e all’intraprendenza di una giovane e determinata giornalista, alla guida del movimento di opposizione al governo, che Atari e i suoi amici a quattro zampe riusciranno a liberare Megayashi dalla schiavitù e dall’oppressione. In questa pellicola d’ambientazione e d’atmosfera orientali non mancano certo le sorprese: un prologo di contestualizzazione delle vicende, realizzato con immagini di arazzi nipponici, e una colonna sonora notevole, caratterizzata dai ritmi tipici delle danze dei guerrieri samurai. Il film, pur presentandosi come cartoon, sembra tuttavia scontare una certa lentezza delle scene, nel cambio d’esse, e dei dialoghi tra i personaggi, seppure smorzata con efficacia da battute e divertenti gag. La grafica, che tradisce una chiarissima influenza degli sviluppatori di videogiochi, non sempre soddisfa l’occhio dello spettatore, concentrato più sul soggetto e sull’azione, che sugli effetti speciali, sonori e visivi. Nella conclusione, che non manca certo di qualche elemento di originalità, sembra però venire meno uno dei presupposti dell’intreccio, e il potere è ridotto a espediente macchiettistico. Per grandi e piccoli, il film è complessivamente piacevole, anche se più adatto a un pubblico adulto. Sono infatti ricchi gli spunti di riflessione sul futuro del nostro pianeta e della società umana. La frase dal film:
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