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Le vite degli altri
Da ormai qualche anno la Germania sta facendo i conti col proprio passato attraverso il cinema: "Goodbye Lenin", "La rosa bianca - Sophie Scholl", "La caduta - Gli ultimi giorni di Hitler" e ora "Le vite degli altri", premiato oltretutto agli Oscar 2007 come migliore film straniero. A Berlino est, nel 1984, il capitano Gerd Wiesler (Ulrich Muhe) è un agente della Stasi specializzato in interrogatori e sorveglianza di sospettati politici. Il suo credere fermamente nel socialismo però vacillerà quando gli toccherà controllare la vita di una coppia di artisti: l'autore teatrale Georg Dreyman (Sebastian Koch visto recentemente in Black Book) e l'attrice Christa Maria Sieland (Martina Gedeck)...
Il giovane regista tedesco (dell'ovest, ma con genitori fuggiti dall'est) Florian Henckel Von Donnersmarck, scrive e dirige una storia di dramma e spionaggio che è anche un piccolo pamphlet sui regimi autoritari (quello comunista nello specifico) che usano il controllo totale come forma di soffocamento delle idee. E così non solo il pensiero, ma anche lo "spazio" diventa proprietà dello Stato, annullando di fatto qualsiasi "intimità" (sia essa mentale o anche di oggetti) del cittadino. Non c'è tortura, ma semplice logoramento dell'uomo affinché desista da qualsiasi proposito sovversivo e chiuda gli occhi davanti le ingiustizie.
In un mondo in cui si è indottrinati a pensarla in un certo modo, solo negli ambienti dell'arte e della cultura si riesce a sviluppare uno spirito critico. Ed è infatti venendo a contatto con questo che Gerd Wiesler comincia a perdere la fede nel "sistema". Le vite sono altro, sono amore e non distruzione, passione e non razionalità, sono quelle "degli altri" e non la sua, a questo punto sacrificabile.
Ne emerge sicuramente una critica all'impostazione dello Stato della DDR("E gente come lei ha governato questo Paese?"), ma Von Donnersmarck, nell'ultima scena ambientata dopo la caduta del muro, inquadrando una libreria intitolata a Karl Marx, il padre del comunismo e quindi di tutto quello che è venuto dopo, ricorda come la Germania sia sempre stata e continui ad essere una cosa sola: il passato dell'est appartiene anche all'ovest.
Un film profondo, intenso, importante tanto a livello sia storico che artistico, che si avvale delle grandi performance del terzetto di protagonisti. Su tutti Ulrich Muhe: intenso, duro e al contempo fragile nel sul lento cambiamento. La sua seconda moglie fu al tempo, una collaboratrice della Stasi. In Germania alla presentazione del film, gli hanno chiesto come si fosse preparato per il suo personaggio. La sua risposta è stata: "Ho ricordato".
La frase: "Le persone non cambiano così facilmente, succede solo nelle commedie".
Andrea D'Addio
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