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L'estate d'inverno
Un'anonima stanza per due anime sconosciute. Una di fronte all'altra, come a specchiarsi. Il mondo fuori è segnato da buio, tempesta e un montaggio dal movimento nervosamente sincopato, rapido e confuso. Tra le quattro mura, una sola unità di tempo e luogo dalle calde tonalità giallo-rosse, dove tre videocamere digitali studiano un ampio spettro di dinamiche psicologiche e un confronto serrato, anche violento. Quello uomo-donna, madre-figlio, genitore-genitore accomunati dall'abbandono ("una di quelle ferite che non si rimarginano"), subìto e a loro volta reiteratamente imposto, che è anche fuga dalla carne della propria carne, dall'altro da sè e soprattutto dai sentimenti. Inutile, perchè alla fine "si scappa da una cosa e si diventa come quella: è l'unica che si conosce".
Dopo un peregrinare festivaliero (con qualche premio, anche per la miglior attrice), a quasi 3 anni di distanza arriva nelle sale l'esordio nel lungometraggio di Davide Sibaldi (classe 1987, pittore, illustratore e prolifico autore di corti). Che ha scritto, diretto e affidato "L'Estate d'inverno" alla formazione teatrale di una coppia di interpreti, in cui lui cerca la bellezza delle persone nelle scie che lasciano, nelle loro imperfezioni fisiche e cicatrici, sia esteriori che interne, e non nell'aspetto; lei invece - ruolo più ricco e complesso - ha un passato doloroso, irrequieto e nomade, caoticamente irrisolto e, arrivata alla conclusione che ogni lavoro sia un vendersi, si è annullata nella prostituzione, privandosi anche del bisogno di sognare (seppure un desiderio nascosto, semplice e innocente lo abbia). Il concentrato scambio dialettico ed emotivo ("le cose spiègale, così diventano più piccole e stupide: finché rimangono dentro non vedi come sono fatte") avrà proprio sulla donna l'effetto maggiore, simboleggiato dalla sua trasformazione fisica, con lo spogliarsi del nero del trucco sul viso, della parrucca e dei vestiti. Nella ristrettezza dello spazio, il testo riesce a non andare a sbattere, e sostanzialmente è Pia Lanciotti a condurlo con sapiente esperienza, tecnica e umanità.
La frase: "Ovunque c'è qualcosa, basta volerla trovare".
Federico Raponi
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