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Last summer











La pellicola è l’opera prima di Leonardo Guerra Sèragnoli che riunisce un cast internazionale eterogeneo e composito a partire dall’attrice giapponese Rinko Kikuchi, già nomination agli Oscar con “Babel”, cui si aggiunge l’olandese Yorick Van Wageningen, Lucy Griffiths, Laura Sofia Bach, Daniel Ball e il giovane esordiente Ken Brady. Oltre al cast non si possono non nominare anche la pluripremiata agli Oscar la costumista Milena Canonero e la montatrice Monica Willi.
La sceneggiatura è opera dello stesso Leonardo Guerra Sèragnoli in collaborazione con la scrittrice di best seller giapponese Banana Yoshimoto. Un’opera prima decisamente di alto valore a livello stilistico e fotografico che racconta l’ultimo incontro di una madre con suo figlio di sei anni, perché a causa degli errori della donna il tribunale ha affidato il bambino alle cure del nonno paterno. Tutto avviene in quattro giorni su una barca vicino ad una costa, in un’imprecisata stagione o momento o luogo, ed ecco che la barca e i suoi abitanti diventano un microcosmo dove i sentimenti e le tensioni dominano la scena.
È il racconto del dolore intimo di una madre allontanata dal proprio bambino, un dolore composto che non sfocia nel melodramma e al tempo stesso è la descrizione chiara dell’incontro/scontro fra due culture diverse, fra Occidente e Oriente. Naomi, la mamma del bambino, interpretata dalla bravissima Rinko Kikuchi, è una donna fredda e gelida, il suo contegno e la sua ostilità e rabbia sono contenute, ma evidenti quando mette piede sulla barca. Da parte loro i diversi membri dell’equipaggio sembrano averla già condannata, a causa degli articoli sul giornale e degli ordini impartiti dalla famiglia per cui lavorano, ossia non lasciarli mai soli e sorvegliare che la donna non faccia male al piccolo Ken. Il bambino da parte sua appare subito ostile nei confronti della donna a causa dei discorsi ascoltati dagli adulti, a partire dalla babysitter e dal comportamento che l’equipaggio ha nei confronti della donna. Naomi deve quindi riuscire a trovare la chiave per far sorridere di nuovo il figlio, per farsi di nuovo amare e accettare, in poche parole ricostruire il rapporto perduto. I giorni passano e la situazione non sembra mutare, l’equipaggio non comprende il modo di fare composto e quasi rigido, derivato sicuramente dalla cultura di Naomi.
Il silenzio sembra scendere come un manto spesso e impossibile da squarciare, tuttavia lei non si arrende anche se il rapporto che nascerà sarà destinato a spezzarsi fino al raggiungimento della maggiore età da parte di Ken. I riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche sono evidenti, tuttavia è un’opera di nicchia pregevole giocata sulle parole, poche sia giapponesi che inglesi, e al tempo stesso sui costumi, che simboleggiano lo stato d’animo di Naomi.

La frase:
"Pensa sia possibile per una madre non vedere più il figlio per 11 anni?".

a cura di Federica Di Bartolo

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