La nostra quarantena
Una nave attraccata al porto di Cagliari, battente bandiera marocchina, in cui i quindici membri dell’equipaggio si sono autoinflitti una “quarantena” per protestare e scioperare contro l’armatore che li ha assunti e che da mesi non da loro gli stipendi dovuti. Quindici uomini altamente qualificati, ognuno con la propria storia, i propri sentimenti e paure. Ci vengono introdotti mentre Papa Francesco visita la città proprio per essere un sostegno ai lavoratori in difficoltà dell’isola. A pochi metri dalla folla festante e gioiosa, si consuma, sconosciuta ai più, la lotta di quindici coraggiosi uomini, disposti a combattere per ottenere solamente ciò che spettava loro per diritto.
È di questo che il regista Peter Marcias vuole parlarci e lo fa attraverso una docu-fiction dal sapore realistico che vede il giovane Salvatore, interpretato da un convincente e intenso Moisè Curia, alle prese con un compito assegnategli da una sua insegnante universitaria, Maria, a cui presta il volto Francesca Neri.
Il giovane deve studiare la situazione dei quindici marinai e capire sia loro sia il contesto in cui si svolge la vicenda, scavando a fondo, secondo i desideri dell’insegnante, e non fermandosi alla visione superficiale della vicenda. Il giovane decide di svolgere il compito creando un documentario, alternando così continuamente il punto di vista del regista e di Salvatore e in cui intervista tutti i protagonisti della storia e anche coloro che, in una gara di solidarietà, hanno cercato di rendere meno dura questa esperienza. Salvatore si trova così a scavare a fondo nell’animo dei lavoratori in protesta, ma anche in quello di alcuni giovani cagliaritani disillusi e che hanno perso la speranza di poter trovare un lavoro e costruirsi una propria vita.
Salvatore inizia così ad immedesimarsi con tutti loro e a porsi tante domande sul proprio futuro, a chiedersi quali reali opportunità abbia una volta ottenuta la laurea e che reale valore abbia il titolo di studio. Incarna il disagio di tanti suoi coetanei che non vedono un futuro, almeno nel nostro paese, a prescindere dalle capacità e dalle conoscenze personali. Un disagio che accomuna le persone, qualsiasi sia il paese d’origine, visto che spesso le problematiche sono molto simili e che la lotta per una vita dignitosa, che passa attraverso il lavoro, accomuna le genti.
La pellicola ci porta a conoscere piano piano tutti i protagonisti, ce li mostra nella loro forza, nella riconoscenza verso un popolo che li ha accolti e li aiuta, nell’amare una terra che in altre circostanze avrebbero voluto abitare e nel loro dolore per la lontananza dalle famiglie, che possono solamente sentire per telefono e che comunque cercano in ogni modo di rassicurare.
Marcias ci mostra il lato umano di una vicenda di cui i mass media non si sono interessati, pone tante domande a cui, forse volutamente, non ha voluto dare risposte e ci porta a riflettere e a interrogarci sul futuro. Il regista sardo dirige la pellicola con delicatezza e con maestria, senza essere mai troppo invadente, ma dando comunque la sua impronta a un’opera intensa e da vedere. Il tutto con lo sfondo di una Cagliari a tratti ospitale e bellissima, a tratti arida e desolante.
La frase:
"L’unica cosa che pretendo da questo sciopero sono i nostri diritti".
a cura di Redazione FilmUP.com
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