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La Llorona - Le Lacrime del Male

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio15 aprile 2019Voto: 5.0
 

  • Foto dal film La Llorona - Le Lacrime del Male
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È uno spirito maligno, terribile, dimenticato da Dio. Prima che si passi alla Los Angeles del 1973, è nel Messico di trecento anni addietro che prende avvio il primo lungometraggio diretto da Michael Chaves, autore del pluripremiato short “The maiden”.

Lungometraggio che va chiaramente ad ampliare l’universo horror cinematografico iniziato nel 2013 tramite “L’evocazione – The conjuring” di James Wan (qui rientrante tra i produttori), considerando soprattutto il fatto che è il sacerdote Perez alias Tony Amendola già visto nello spin-off “Annabelle” a fornire spiegazioni su chi sia la Llorona del titolo, ovvero una delle figure più iconiche e conosciute del folklore latinoamericano.
La Llorona che, secondo la leggenda, altro non è che una madre disperata e donna in lacrime che attraversa i fiumi e i corsi d’acqua, aspettando nell’oscurità per trascinare via chi si comporta male o va in giro fino a tardi.
Un’entità con cui si trova ad avere a che fare l’assistente sociale vedova Anna Tate-Garcia, interpretata da Linda Cardellini, dopo che, chiamata a casa dalla Patricia Alvarez dal volto di Patricia Velasquez, trova i suoi due figlioletti rinchiusi in un armadio, come nell’intenzione di metterli al sicuro da abusi e violenze.

Una situazione che la porta a mandare in custodia privata i due bambini e in cura psichiatrica la loro genitrice; senza immaginare che un inquietante grido cominci poi a riecheggiare nottetempo nei corridoi del centro di accoglienza in cui dormono e che, in seguito a un tragico evento, siano i suoi figli a finire nel mirino del malvagio spirito e della propria furiosa rabbia soprannaturale.
Una rabbia contro cui si pone il Rafael Olvera incarnato da Raymond Cruz, ex prete trasformato in curandero, nonché fornito della sua potente fede e di un autentico arsenale di totem spirituali; nel corso della fase finale della oltre ora e mezza di visione che, però, pur godendo di un apprezzabile comparto tecnico e avendo il merito di trasferire nell’ambito della Settima arte di genere mainstream un “boogeyman in rosa” dal quale avevano finora attinto soltanto sconosciute produzioni a basso costo, può lasciare soddisfatti, al massimo, coloro che raramente entrano in sala per assistere ad un film di paura.

Perché, in mezzo ad immancabili fulmini tirati più volte in ballo nell’evidente tentativo di accentuare la lugubre atmosfera generale, non si sguazza altro che in attese, immancabili apparizioni (in)aspettate e porte che si spalancano o si chiudono all’improvviso. Senza contare le solite minacciose soggettive accompagnate da audio sparato ad alti livelli e le consuete cadute dalle scale, ormai ingrediente fisso di un cinema asettico, sempre meno propenso allo splatter e sempre più favorevole ad economizzare in fatto di effetti speciali di trucco.

All’insegna dell’ennesimo campionario di jump scare ormai destinati a far balzare in maniera efficace dalla poltrona esclusivamente una ristretta cerchia di spettatori... lasciando tutti gli altri a sprofondare nella noia di un’operazione che non fa rimanere assolutamente nulla di memorabile nella testa una volta giunta all’epilogo.


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