FilmUP - Recensione: La Fidélité

La Fidélité
È del 1999 l'ultimo film del regista ucraino Andrzej Zulawski ed è troppo lungo e profondamente noioso. Al limite dell'irritante.
Una storia di fedeltà a tutti i costi raccontata attraverso delle immagini in cui ogni scena è costruita nei minimi particolari quasi fosse una pièce teatrale.

Clelia, fotografa di grande successo, assunta da un magnate canadese proprietario di una serie di giornali scandalistici, ritorna a Parigi dopo un lungo periodo di assenza. Incontra casualmente Clève, editore di 35 anni che si innamora perdutamente di lei. Il fascino goffo e divertente dell'uomo conquistano la giovane donna che decide di sposarlo. Ma il destino è in agguato: nella stessa redazione dove lavora, Clelia conosce Nemo, fotografo di servizi scandalistici e di sensazione con il quale sente una immediata complicità. Una passione che si trasformerà in amore ma che resterà impigliata nelle maglie dell'inamovibile principio di fedeltà di Clelia nei confronti del marito, senza impedirne però l'epilogo tragico.

Teatralità è la parola d'ordine: ogni sentimento, sia esso di dolore, quasi sempre, o di gioia, quasi mai, è esacerbato attraverso una gestualità perfettamente e innaturalmente costituita, a cui è davvero molto faticoso dare un significato. La macchina da presa indugia spesso sul bel viso della protagonista, che riprende con intenso trasporto trasformando l'operazione filmica in un esercizio tecnico e artistico abbastanza sterile.
Due ore e trentotto minuti in cui la ricerca spasmodica della fedeltà si scontra costantemente con la realtà passionale e sentimentale della vita dei personaggi, che nei momenti di più intenso dolore non dimenticano di segnarsi e pregare Dio.
Nella generale esasperazione interpretativa di tutti gli attori emerge quella più contenuta e intensa del Nemo di Guillaume Canet (cronista storico in "Vidocq"), un paparazzo dalla vita esagerata che riesce ad amare meglio di tutti.

Valiaria Chiari

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