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Lady in the water
Quando all'interno di un film le scelte registiche seguono un sottotesto che non coincide con la trama è sempre difficile parlarne in poche parole. Accade spesso che, per quanto geniale, o lirico, o eminentemente "cinematografico" possa essere un film, non incontri il favore totale del pubblico, per questo motivo pellicole come "Signs" o "The Village" vengono tacciate di "lentezza" o di incongruenze nel dipanarsi della storia.
Shyamalan ci ha riportato un cinema di altri tempi, pensato e figurativo, in cui tramite le inquadrature fisse, o i piani sequenza o i piccoli movimenti di macchina si intravede un significato ulteriore rispetto a quello che le battute dei personaggi vogliono comunicarci.
Accade questo anche nel suo ultimo Lady in the water.
Una narf (ninfa del Mondo Azzurro), personaggio mitico delle fiabe orientali della buonanotte, compare nella piscina di un condominio residenziale, a trovarla è il custode di questo condominio, Cleveland, che l'aiuterà a compiere la sua missione e a combattere delle creature malvagie che tentano di impedirle di tornare nel suo mondo. Con loro, combatteranno il male anche i curiosi abitanti del condominio.
Ad uno sguardo superficiale il film di Shyamalan può sembrare la banale fiaba in cui il mondo delle fate vince sul cattivo insensibile ed oscuro, facendo sì che l'uomo ricominci a credere nei sogni ("La storia infinita" docet), ma a ben guardare è, come fu "Signs", il percorso di un uomo, che subite delle perdite gravissime durante la vita, si riconcilia col passato e ritrova la fede, stavolta però in se stesso e nell'umanità.
Nel film i riferimenti al mondo d'oggi, crudele e perennemente in guerra, sono velati ma onnipresenti, anche i mezzi per cambiare il mondo sono solo accennati proprio perché non sono il punto focale del discorso che vuole intraprendere il regista. Ma l'aria che tira nel condominio "The Cove" è tutt'altro che triste: i nostri protagonisti sono un gruppo alquanto eterogeneo e particolare, si rifugiano al Cove proprio per sfuggire al mondo esterno e per aprire la loro mente a mondi fantasiosi. Ognuno di essi ha caratteristiche peculiari e spesso divertenti e il cast se la cava ottimamente nel caratterizzarli. Tra tutte, ricordiamo la figura del critico letterario e cinematografico, probabilmente un'ironica tirata d'orecchi da parte di Shyamalan ai critici che tentano sempre di irrigidire le opere d'arte in schemi e stereotipi.
Il regista anche in questa sua ultima fatica riesce a creare un'atmosfera densa ma mai pesante, fa largo uso di riprese frontali e fisse, posiziona la macchina da presa più in basso del solito, infatti le figure umane sono spesso tagliate o sembrano essere osservate dal punto di vista di un bambino. Molte delle inquadrature sono a fuoco solo in parte quasi a voler forzatamente spostare l'attenzione dello spettatore su determinati particolari ed è vicinissima ai personaggi come se volesse iperscrutarli. Shyamalan, che anche stavolta ha ideato il soggetto e scritto la sceneggiatura del suo film, si conferma autore nel senso classico del termine.
Un film in cui sono presenti anche effetti speciali, ma in maniera discreta, consigliato ad un pubblico che sa andare al di là delle apparenze e vuole qualcosa in più del solito e puro intrattenimento.
La curiosità: Il regista, che nei suoi film precedenti è sempre apparso in un cammeo, qui si ritaglia un ruolo tra i protagonisti.
La frase: "L'uomo forse non sa più ascoltare..."
Ilaria Ferri
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