La ciociara
La storia narra che il ruolo che diede a Sophia Loren il suo primo e unico Oscar fosse stato inizialmente assegnato ad Anna Magnani che rifiutò la parte quando seppe che l’attrice napoletana ne avrebbe interpretato la figlia. I ventisei anni di differenza tra le due non sembravano abbastanza alla “lupa romana. Si abbassarono così le età dei due personaggi principali: Cesira, la ciociara, assunse il volto dell’allora trentenne Loren e Rosetta, la figlia, quello della tredicenne Eleonora Brown. L’origine era alta, l’omonimo libro che Alberto Moravia pubblicò solo del 1957 anche se (a suo dire) aveva in mente già nel 1946, un anno prima che realizzasse “La romana”. Si trattò di un “ritardo” voluto: con “La ciociara” lo scrittore romano non voleva solo comporre il ritratto di un personaggio forte nella sua dignità di essere donna e madre, ma anche utilizzarlo per parlare dell’Italia post 8 Settembre 1943. E per averne uno sguardo preciso, bisognava lasciar passare un pò di tempo.
Un intento che Vittorio De Sica alla regia, e Cesare Zavattini alla sceneggiatura, riportarono sul grande schermo senza inalterarne storia e atmosfere. Una madre e una figlia, un viaggio che non si è scelto di fare, ma che si è costretti ad intraprendere. Se la seconda guerra mondiale fu quella dei grandi spostamenti, delle deportazioni, degli sbarchi e dei bombardamenti aerei, il tutto si rifletté non solo sui soldati, sugli ebrei e gli zingari, ma anche sulle persone comuni. Non tutti con la stessa intensità, ma la drammaticità delle storie degli individui non possono essere messe secondo classifica. E così il dramma delle due protagoniste, il loro continuo scappare senza punti di riferimento, vittime di una civiltà che in tempi di guerra (ma non solo in quei momenti) regredisce fino a dimenticarsi di essere tale e diventa l’emblema di quel passaggio che fa della “storia internazionale” una “storia personale”. Emerge così la violenza e non è solo quella fisica delle esplosioni, dei fucili, dei sequestri o degli stupri, ma anche il suo riflesso, quello che impedisce di vivere, di andare, di fare o pensare, di essere se stessi, buoni o meno buoni che si sia. E una liberazione che non è dell’Italia, ma del terrore, dell’orrore come quando i marocchini violentano Rosetta. Una scena che segna il baratro della situazione, che marchia quel punto di non ritorno per un’intera esistenza. De Sica insiste così sugli sguardi, sugli occhi delle sue due protagoniste, per rimarcarne quella reazione che diventerà quasi uno stato d’animo perenne. La sua direzione degli attori è meticolosa e sicura: è da loro che deve trasparire l’emozione, è tramite loro che lo spettatore soffrirà, non si perderanno tempo ed immagini sull’ambiente, sono loro le protagoniste. Per la Loren diventa così la prima vera prova da attrice drammatica, un’esperienza che le darà modo di tirare fuori tutto il proprio potenziale drammatico ed emotivo che il cinema hollywoodiano (nei precedenti cinque anni aveva lavorato negli States senza riscuotere successi) non era stato capace di fare emergere.
Universalmente riconosciuto come un capolavoro, “La ciociara” fu distribuito negli Stati Uniti col titolo di “Two womans”: all’estero era impossibile far capire dove fosse la Ciociaria.

La frase: "- Ci sono molte cose belle in Italia".

Andrea D’Addio

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