La casa delle donne
Due sorelle ed una serva si fanno prima possedere e poi sistemare da un signorotto di una masseria pugliese negli anni 20. La pistola di don Rocco non sbaglia un colpo e dalle tre prede nascono altrettanti figli. Forse non sono tutti suoi ma comunque con loro è stato e deve riparare. Ne sposa una, sistema la sorella con un bracciante provvedendo a pagarne la dote, e la figlia della serva la riconosce come sua e della moglie. Di tutto ciò che accade però, il maschio decide ben poco, perché alle sue spalle sono le donne a tagliare e cucire. Donne calde e faticatrici, che vedono nell'ascesa sociale e nella discesa sessuale, il loro unico fine. La famiglia così mischiata si trasferisce a Bari, in un condominio che Don Rocco rileva in blocco, e nel quale sistema la famiglia oramai allargata. Il signorotto dopo tanto fornicare è costretto a prendersene cura, se non altro economicamente, senza ricevere in cambio molta considerazione, ma beffandosi di tutti in un testamento che restituisce qualcosa agli illegittimi e toglie dignità ai riconosciuti.
Gli uomini della grande famiglia non sopravvivono al tempo, alle stagioni che li vedono succubi e cornuti, frutti appetibili finché in grado di dare seme, e marci quando gli acciacchi della vita li portano ad avere bisogno di affetto più che di sesso.
Il patriarca, che in questa famiglia matriarcale ha ben poca voce in capitolo, muore di cancro, due figli si suicidano ed un altro viene colto da un infarto mentre litiga al telefono con la moglie che lo ha cornificato ed abbandonato. Rimangono nella palazzina, solo le donne a dividersi l'eredità fatta di appartamenti, mobili, figli e pochi dolci ricordi.
Mimmo Monelli al suo primo lungometraggio ci propone una storia di casa sua, che nasce dalla tradizione della preparazione della conserva di pomodoro, attività durante la quale le donne erano padrone assolute dei tempi familiari, convogliando le forze degli uomini della famiglia, nella loro direzione. Questa supremazia, o, questa capacità di scornarsi ed accordarsi tra donne, per poi servire all'uomo una situazione della quale può prender solo atto, il regista la estende ai sessanta anni che compongono la storia.
Troppi sono però i lustri ed i personaggi che ci vuole raccontare. In una Casa degli spiriti all'italiana, non si fa in tempo ad entrare nella vita di una coppia che subito, il prurito sessuale, il suicidio, il tradimento pongono fine al racconto. Le donne non sembrano intrattenere rapporti affettuosi. Pronte ad uscire sul pianerottolo ed aiutare solo quando qualcuno cade per le scale, o crepa sulla sua poltrona, abbandonato dalla moglie.
Sono molto belli i colori che evocano odori antichi e sapori antecedenti la globalizzazione delle confezioni e delle conserve, ma questi si perdono quasi subito con il trasferimento della famiglia dalla masseria alla città.
Gli attori recitano in un dialetto che Rubini ed altri ci hanno già presentato come molto cinematografico, ma spesso non basta a far sorridere, laddove manca di proverbialità e saggezza popolare. Le tre donne protagoniste tengono bene le fila di una compagnia di giovani pomodori ancora non pronti per la conserva. La voce narrante risulta troppo entusiasta della storia che racconta, togliendo quella tragedia latente che avrebbe dovuto accompagnare un film dove il sesso senza amore la fa da padrone assoluto.

Andrea Monti

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