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La bella società
Del siciliano classe 1968 Gian Paolo Cugno sentimmo parlare nel 2006, ai tempi di quel “Salvatore-Questa è la vita” che, suo esordio dietro la macchina da presa, raccontava del rapporto d’amicizia tra il piccolo orfano del titolo e il suo insegnante Marco, con le fattezze di Enrico Lo Verso.
Lo stesso Enrico Lo Verso che ritroviamo anche in questa sua opera seconda nei panni di Nello, migliore amico dei fratelli protagonisti Giuseppe e Giorgio, rispettivamente interpretati da David Coco e Marco Bocci, cresciuti senza il padre e gelosissimi da bambini della loro bellissima mamma Maria alias Maria Grazia Cucinotta, con la quale vivevano e lavoravano in una casa immersa nei campi di grano della Sicilia dei primi anni Sessanta.
Infatti, è con i tre da piccoli che apre la pellicola, tirando in ballo anche Raoul Bova nei panni di Romolo, componente di una troupe cinematografica destinato a diventare l’amante di Maria e a scomparire nel nulla in seguito ad un incidente che fa perdere la vista a Giorgio.
Una serie di eventi che Cugno, omaggiando “L’avventura” di Michelangelo Antonioni e attingendo in maniera evidente dal cinema di Giuseppe Tornatore, sembra far susseguire con eccessiva velocità, fino a condurre agli anni Settanta, i quali rimandano invece, sotto certi aspetti, al look de “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana.
Ed è in questa fetta di lungometraggio che entra in scena Caterina, con il volto di Simona Borioni, segretaria di un dirigente della Fiat ucciso dalle brigate rosse e che i due fratelli, sempre più uniti tra loro, conoscono a Torino, dove vanno per tentare un’operazione agli occhi di Giorgio.
Fino ad arrivare ai giorni del delirio consumistico degli anni Ottanta, mentre ritroviamo con piacere in scena anche i veterani Antonella Lualdi e Franco Interlenghi che, marito e moglie nella vita, concedono anima e corpo ai genitori di Romolo, alla disperata ricerca del figlio.
Ma, sebbene il cast svolga a dovere il suo compito, l’operazione risulta penalizzata da non pochi difetti, a partire da una sceneggiatura – a firma dello stesso regista insieme al fido Paolo Di Reda – degna di una soap opera, come pure le musiche per mano del solitamente apprezzabile Paolo Vivaldi.
Se poi teniamo anche in considerazione il fatto che i momenti drammatici finiscono spesso per sfiorare il trash, di apprezzabile rimane soltanto il gusto sfoggiato in diverse inquadrature.
La frase: "Non siamo una famiglia, una famiglia è un’altra cosa".
Francesco Lomuscio
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