L'Abbuffata
Mimmo Calopresti, apprezzato regista per "Preferisco il rumore del mare", firma "L'abbuffata", pellicola che si diverte a giocare con il Cinema e i luoghi comuni del mal costume italiano.

Tre ragazzi calabresi senza né arte né parte decidono di girare un film. Cominciando da vaghe e confuse dichiarazioni rubate ai passanti, dopo qualche tempo trovano una storia sufficientemente interessante: quella di una loro zia che aspetta il ritorno al paese di un vecchio amore americano. Così, per realizzare il film, i tre decidono di partire per Roma alla ricerca di un uomo che possa, in qualche modo, avere le sembianze descritte dall'anziana signora...

Pellicola sciatta, debole sul piano della trama, e dalla sceneggiatura talmente fragile da apparire risibile. Calopresti tenta un esperimento davvero interessante, un film nel film, ma con risultati pessimi.
Che sia un film poco convincente si capisce dai primi minuti in cui vediamo Diego Abatantuono interpretare il ruolo di un vecchio regista in declino che disquisisce, senza alcuna ragione, su Ulisse e Omero.
Si prosegue poi con immagini confuse riprese dalla telecamera a mano usata dai tre ragazzi, che riescono bene nel rispecchiare una gioventù che non ha nulla da dire al mondo, e che cercano invano, e senza metodo, una qualunque ispirazione per il loro film. Si arriva dunque, dopo un'altra “dose” di dialoghi aventi come tema "...quanto era bello il Cinema di Mastroianni e Rossellini", al viaggio dei tre a Roma. Il massimo della nausea si avverte quando compare Flavia Vento sullo schermo, e subito dopo, quando Calopresti ci mostra un finto reality che altro non vuole che ricordarci quanto la nostra televisione sia sciocca. Ma non basta, e il regista confida che abbiate ancora un poco di energia per ammirare Gerard Depardieu giungere in Calabria, partecipare ad un cenone in suo onore, e morire davanti la televisione che trasmette Bruno Vespa. Nel frattempo noi invece, abbiamo già digerito un insostenibile Nino Frassica nel ruolo "serio" di un professore di inglese, e una storia d'amore da fotoromanzo. Calamità.
Si finisce per ridere, ma per non piangere di fronte l'ennesima pellicola che non serviva al cinema italiano. Una inutile riproposta di luoghi comuni che, al contrario del signor Calopresti, noi crediamo non appartenere più né all’Italia, né al cinema italiano. Forse è il caso di dire basta a queste pellicole. Davvero.
Il film “L’abbuffata” sarà pure ironico, col beneficio del dubbio, ma risulta soprattutto pretestuoso e profondamente privo di ispirazione.
In una parola: insignificante.

La frase: "...Ma ‘o dobbiamo proprio fare usto film?...".

Diego Altobelli

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