La banda Baader Meinhof
Una vera e propria guerra civile - concentrata nel decennio 1967-77 percorso dal film – ha scosso la Germania. Secondo un sondaggio, 1 persona su 4 sotto i 30 anni (cioè 7 milioni di persone), simpatizzava per la Rote Armee Fraktion, ma i primi omicidi, la deriva militarista e la durezza dello scontro portarono poi all’isolamento e alla capitolazione dei suoi appartenenti davanti alle soverchianti forze dello Stato.
Dal suo omonimo, documentato e cronachistico libro "der Baader Meinhoff komplex", considerato il più completo sull’argomento, Stefan Aust ha tratto lo script insieme al produttore Berndt Eichinger - che aveva in mente il progetto da 30 anni - e al regista Uli Edel. Rispetto al solido e rigoroso film (basato sugli atti processuali) "Stemmheim", una delle migliori pellicole sul fenomeno arrivate in Italia, Orso d’Oro a Berlino nel 1986 e anch’esso sceneggiato da Aust, "la Banda Baader Meinhof" - che rappresenta il paese nella corsa all’Oscar - fedelmente al testo segue i destini segnati del gruppo a partire da bombe, rapine di autofinanziamento e sequestri fino ad uccisioni, arresti, scioperi della fame e ufficiali "suicidi" in carcere. A discapito, però, sia della complessità (il contesto che ha portato alla lotta armata infatti rimane sullo sfondo, e con esso il movimento giovanile di protesta di massa) che delle caratterizzazioni, approssimative: Ulrike Meinohf imperscrutabile, combattuta e fragile, Andreas Baader gaudente libertario autodistruttivo, intransigente e violento che ragiona al minimo. Terza parte di una personale trilogia della violenza (su sè stessi in "Christiana F.", sociale in "Last exit to Brooklin", politica qui), tecnicamente Edel opta per luce naturale, camera a mano, locations originali, limitati effetti speciali, mentre sotto l’aspetto drammaturgico sceglie narrazione non lineare, teoria sloganistica con molta azione, volti senza nome che vengono e vanno per impedire adesione emotiva ai personaggi. Ma la spettacolarizzazione offre scarsi spunti per risposte ad un dramma che ha falcidiato più di una generazione.

La frase: "Se tiri un sasso, è un reato. Se tirano sassi in migliaia è un’azione politica".

Federico Raponi

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