K-PAX
Spunta dal nulla in mezzo ad un raggio di luce alla Stazione Centrale di New York. È Prott, un alieno. Viene da K-Pax. È "atterrato" altre volte sulla Terra, la conosce bene anche se non ricordava che fosse tanto luminosa. Ricoverato all'Ospedale Psichiatrico di Manhattan, Prott si lega d'amicizia con il Dr. Mark Powell, psichiatra di vasta esperienza dell'ospedale. Affascinato soprattutto dal cibo squisito della Terra, un BA-3 ovvero, secondo i K-Paxiani, pianeta al primo stadio di evoluzione con un futuro ancora incerto, Prott afferma pazientemente di condurre un'inchiesta e che la sua partenza per tornare a casa è già stata decisa: il 26 luglio 2001. Un alieno talmente persuasivo da riuscire a convincere persino un gruppo di scettici astronomi. Un genio vittima della sua fantasia, il cui guscio sarà scalfito solo dalla tenacia dello psichiatra.

Diretto da Iain Softly, "K-Pax", tratto dal romanzo di Gene Brewer, è una storia con un inizio indubbiamente originale in cui si mescolano abilmente i toni della commedia a quelli del dramma. Prott, interpretato da un dimesso Kevin Spacey, è un uomo in carne ed ossa che si vorrebbe irreale per riuscire a dimenticare la parte più drammatica della propria vita. Duetta con lo psichiatra, un Jeff Bridges abbastanza spento, il quale vacilla impercettibilmente tra l'irreale possibilità che il paziente sia l'alieno che dice e la ragionevole realtà che lo vuole umano come tutti.
I due attori si disputano la palma del protagonista con indiscussa abilità, sebbene sorga il dubbio che a volte la loro mente sia altrove, forse tediata e poco coinvolta dall'intima incredulità di dottore, dell'uno e la profonda certezza di alieno, dell'altro.
Straordinaria la fotografia di John Mathison che crea un'atmosfera tutta particolare in cui la luce ha un ruolo determinante: vivida e sempre in movimento, un secondo personaggio che accompagna nei suoi chiari e nei suoi scuri i due protagonisti. Sfumature delicate che anticipano le mutazioni dei personaggi senza influenzare mai l'andamento della narrazione.
Il regista del sontuoso "Le ali dell'amore" realizza un film in cui mescola con perizia toni di commedia a quelli del mistery e del dramma, limitandosi però ad uno svolgimento semplicistico e non particolarmente trascinante della storia, dolorosa dal finale consolatorio, e trascurando spesso le doti e il talento degli attori.

Valeria Chiari

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