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La comune











“La comune” è il film drammatico di Thomas Vinterberg, regista de “Il sospetto” e “Via dalla pazza folla”, che vede come protagonista una famiglia, composta da Erik, Anna e la figlia Freja, la quale - dopo aver comprato una casa troppo grande per tre persone - decide di trasformarla in una comune, ovvero di vivere insieme ad altri coinquilini. Ognuno di loro è considerato alla pari degli altri e dovrà pagare una somma per contribuire alle spese. Vivono come se fossero un’unica, grande famiglia, ma ben presto inizieranno a presentarsi i primi problemi: se inizialmente la scelta di vivere tutti insieme sembrava la soluzione migliore, più avanti si assisterà a un vero e proprio crollo dell’intero sistema adottato, anche a causa delle problematiche legate alla comunicazione. Tutti ridono, parlano, scherzano e vivono l’esperienza ponendo al centro di tutto il divertimento, finendo però per dimenticarsi degli affetti familiari e degli aspetti più importanti della vita.
Questo tema, purtroppo, è un problema che riguarda anche la società odierna, così come quello della comunicazione, e che crea non pochi disagi a livello psicologico e morale. Tutto, infatti, sembra andare per il verso giusto, fino a quando nella vita di Erik non entra una persona che scombussola la quiete familiare e della comune, portando i protagonisti a dover prendere una decisione: accettare la realtà e vivere in funzione di essa, facendo finta che tutto vada bene, o prendere in mano le redini della propria vita e lasciarsi il passato alle spalle.
Nella pellicola emerge la totale mancanza di pudore: in alcune scene (poche) gli interpreti vengono mostrati completamente nudi, anche se di questi tempi ciò non scandalizza poi più di tanto.
Sicuramente, vuoi per i temi affrontati o per le parti intime messe in risalto, non è un film consigliabile per un pubblico di bambini. Ulrich Thomsen è colui che dà il volto a Erik, un docente dell’Università che vorrebbe fare il salto di qualità partecipando a un concorso. L’attore, conosciuto per aver preso parte a progetti come “Le crociate” di Ridley Scott e “The International” con Naomi Watts e Clive Owen, ha dimostrato quanto sia possibile recitare, comunicare quello che si vorrebbe dire, anche solo attraverso lo sguardo, intenso e cristallino, come solo quello di un bravo attore può essere.
La stessa dote è riscontrabile nella figura della moglie, interpretata da Trine Dyrholm, che è stata in grado di suscitare empatia nello spettatore, il quale- trattandosi di una situazione vissuta da molte donne e uomini anche nella vita reale - non può fare a meno di sostenerla e stare dalla sua parte. Un altro tema affrontato è quello della malattia, che spesso non lascia scampo e può portare alla morte. In questo caso però il problema viene affrontato con leggerezza, anche se le scene dedicate ad esso risultano essere le più emozionanti, perché il pubblico si rende conto che, nonostante la fine stia per arrivare, c’è ancora gente che cerca di vivere nel miglior modo possibile il tempo che gli resta. Non lasciatevi ingannare però: stiamo parlando di un film drammatico e, quindi, si ride poco, pochissimo, anche se qualche risata la pellicola la strappa.
Il lungometraggio, a tratti fin troppo lento, è accompagnato da una colonna sonora che, dispiace dirlo, concilia il sonno. Il regista si serve di primissimi piani, con i quali riesce a fare emergere, a fare arrivare agli spettatori, i sentimenti più profondi impressi negli occhi dei protagonisti, e stacchi tra una scena e l’altra che portano a chiedersi se la pellicola sia già finita o meno.
Se da una parte i primi piani funzionano, dall’altra gli stacchi serrati potevano essere evitati, così come alcuni cambi di scena repentini - che sembrano non aver alcun nesso logico con la situazione precedente.
Un altro aspetto che non giova alla pellicola è la velocità della narrazione: in pochi passaggi succede di tutto, mentre sarebbe stato più opportuno mostrare la storia gradualmente ed eliminare le scene superflue ai fini del racconto. Ciò che lascia di stucco è la dimensione surreale che assume il racconto, in quanto si narrano situazioni che nella vita reale non vedremo mai accadere e che provocano non poco sgomento agli occhi del pubblico solo per il semplice fatto di aver pensato determinate cose e averle portate sul grande schermo, perché una donna non potrebbe mai umiliarsi così tanto.
Il finale, drammatico e imprevedibile allo stesso tempo, sembra volerci dire che non tutti i mali vengono per nuocere. Spesso, infatti, per stare bene è necessario il supporto di una persona cara, che ci aiuti a comprendere quale sia la strada giusta da seguire ed evitare così di soffrire, anche se - a volte - ciò che ci viene detto fa più male di una pugnalata al cuore.
Purtroppo, però, esistono situazioni in cui il dolore è inevitabile. Il film uscirà nelle sale italiane il 31 marzo 2016.

La frase:
"Noi tre dovremmo essere in grado di vivere insieme".

a cura di Rosanna Donato

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