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Jobs











A due anni dalla morte del cofondatore della Apple, Steve Jobs, esce nelle sale un film biografico che ne descrive l’ascesa travagliata, dai primi progetti imprenditoriali al trionfo. Nelle scene iniziali, il regista Joshua Michael Stern descrive uno Steve Jobs eccentrico e insofferente verso ogni convenzione: si aggira per il college scalzo, facendo discorsi sull’inutilità degli studi universitari, assume droghe allucinogene e viaggia alla ricerca di esperienze e di risposte esistenziali. II lavoro presso una azienda di videogiochi non è affatto soddisfacente e l’ambiente è ostile: i colleghi si lamentano del comportamento e dei modi singolari di Steve: dalla scarsa igiene personale al carattere difficile, schivo e presuntuoso.
Tutto procede senza scosse né ambizione, fino quando Steve Woz (Josh Gad), amico di’infanzia di Jobs, gli mostra un progetto a cui sta lavorando: uno dei primi prototipi di personal computer. Insieme assemblano in breve tempo uno stock considerevole di schede madri e riescono a venderle a un piccolo imprenditore. Da lì inizia l’ascesa della piccola società Apple computer, che passa attraverso i progetti Apple II, Apple Lisa e Apple Macintosh fino all’incredibile successo degli ultimi quindici anni. Un’ascesa travagliata, costruita anche sugli scontri aspri tra Steve Jobs e il Consiglio di amministrazione dell’azienda, nella maggioranza ostile alla visione imprenditoriale del cofondatore, considerata megalomane e suicida. Steve giunse a essere estromesso dal Consiglio di amministrazione per tornare alla guida dell’azienda da amministratore delegato, nel 1995.

Il film ha un buon inizio: la complessa personalità del protagonista è ben resa dalla narrazione e incuriosisce scoprire uno Steve Jobs egocentrico e schivo, timido e determinato. Ashton Kutcher, aiutato dalla notevole somiglianza fisica con l’imprenditore statunitense, fa un buon lavoro di interpretazione sul personaggio. Lo sguardo, l’andatura: tutto ne manifesta la forza e la fragilità. La forza dell’individuo e la fragilità dell’uomo. Il personaggio di Steve Jobs, infatti, è quello di un uomo assolutamente incapace di empatia.
È duro con i colleghi e con gli amici, pretenzioso e perfezionista, solitario fino alla solitudine, fino alla disperazione. È forse questo l’aspetto più interessante del film: il balenare dell’insuccesso di una vita dietro al successo di un’azienda. Amore, amicizie, paternità e affetti, tutto sembra franare sotto ai piedi del protagonista, mentre lavora per creare qualcosa di unico, assumendo ogni sfida come una battaglia e condendola di rancori e vendette personali. Significative, in questo senso, le parole del vecchio amico Woz, con il quale aveva cominciato l’avventura. Woz comunica a Steve che si è licenziato e tra le lacrime di un dispiacere sconsolato gli dice di non riconoscerlo più: "non lavori più per gli altri, ma per te stesso soltanto. Sei l’inizio e la fine del tuo mondo, Steve, ed è così piccolo, così triste".

A tali riflessioni, tuttavia, è dedicata una parte minima del film, due o tre scene in totale. Il resto è concentrato a descrivere le vicende dell’azienda: ascesa, difficoltà, declino e poi di nuovo ascesa. Soltanto attraverso questo prisma si racconta la vita del suo cofondatore e forse è troppo poco per un film che pretende di definirsi biografico. Il rischio è quello di assumere come punto di partenza della narrazione l’entusiasmo idolatrico per il successo dell’impresa, di raccontare una storia dalla prospettiva errata che ogni fallimento o errore, anche nella vita privata dei protagonisti, sono superati dall’incredibile successo economico dell’azienda.

Nonostante questi difetti il film convince per il ritmo e per la qualità della recitazione dei protagonisti, certamente non insuperabile ma degna di nota.

La frase:
"E' che non riesco a lavorare per gli altri. Solo la mia indipendenza da un senso alle cose".

a cura di Simone Arseni

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