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I Want to Be a Soldier











Bambini e violenza. Non è un connubio che ci piace vedere, ma l’attualità ce lo pone sempre più presente e, di riflesso, fa il cinema che, seppur i film abbiano anni di produzione diversi, ultimamente ha presentato titoli come "Weneed to talk about Kevin" (trasposizione su grande schermo dell’omonimo romanzo di Lionel Shriver) e "Thisis England". Lo fa nuovamente con questo "I Want to Be a Soldier" presentato al Festival di Roma 2010 e in uscita ad un anno di distanza (essendoci Valeria Marini tra i produttori, oltre che con un cameo, la distribuzione era quasi scontata).
Siamo negli States ed un bambino di otto anni reagisce alla nascita dei suoi due fratellini gemelli chiudendosi in camera guardando la tv e trovando nelle armi la sua nuova passione. Il suo amico immaginario si trasforma da un astronauta al sergente John Cluster e a poco servono gli interventi di insegnante ("Che cosa sta accadendo al ragazzo?") e dei distratti mamma e papà ("Alex, tu hai bisogno di aiuto!"), quando non si trovano vere alternative, il percorso ormai è segnato.
Seppur il film diretto da Christian Molina tratti un tema interessante e potenzialmente degno di successive riflessioni, la superficialità con cui vengono trovati i responsabili (i genitori che abbandonano i propri figli davanti ad un televisore che, a sua volta, è "cattivo maestro") è tale che il senso del tutto passa in secondo piano e ci si mette poco a dimenticare il tutto, nonostante il coraggioso finale. Peccato, Molina ha ottime intuizioni visive e ben gioca con l’alternarsi dei due amici immaginari. Serviva più attenzione in fase di scrittura, anche il più idiota dei genitori si comporterebbe diversamente davanti ad un figlio come quello interpretato dal giovanissimo Fergus Riordan (già visto in semi-fasce in "Fragile"). Va bene l’essere comprensivi fino alla nausea, ma l’iniziale e giusta fissazione di alcuni principi (nessun televisore in camera), stride con il menefreghismo con cui, in particolare il padre, tratta poi il proprio pargolo. E va bene che il cinema è fatto anche di sintesi, che un’immagine può bastare a raccontare una serie di storie, ma la croce celtica sopra il letto è troppo evidente da non potere essere rimossa anche dal più ceco dei genitori così come il taglio di capelli a zero da neonazi non è cosa che passi inosservata. Vanno bene le semplificazioni, ma quando si vuole raccontare una storia con un approccio educativo, la cosa migliore è essere precisi, e non banali, riguardo ai dettagli. Se manca la verosimiglianza, si rischia di banalizzare anche un concetto in realtà giusto.

La frase:
"Sarò il fratello maggiore più bravo del mondo".

a cura di Andrea D'Addio

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