In the Name of the King
Da un lato abbiamo il semplice contadino Farmer (Jason Statham) del villaggio di Stonebridge che, affiancato dal suo mentore Norick (Ron Perlman) e dal cognato Bastian (Will Sanderson), si muove all’inseguimento dell’esercito dei Krug, energumeni responsabili della morte del figlio e del rapimento di sua moglie Solana (Claire Forlani); dall’altro Merick (John Rhys-Davies) che, mago del Re Konrad (Burt Reynolds), ha scoperto che il vecchio rivale Gallian (Ray Liotta), a capo dei barbari assassini, intende detronizzare il sovrano per far insediare il duca Fallow (Matthew Lillard), debole pedina nelle sue mani.
Su questi due binari paralleli si sviluppa la trasposizione cinematografica del videogioco "Dungeon siege" che, firmata da quell’Uwe Boll la cui filmografia si compone prevalentemente di cineVgame, da "House of the dead" (2003) a "Postal" (2007), vede nei suoi 60 milioni di dollari di budget la cifra più alta data sia per una produzione tedesca che per un film del regista teutonico.
E, a partire dalle scenografie e dall’utilizzo delle musiche, è chiaro che il principale tentativo sia quello di ricalcare il look generale alla base della pluripremiata trilogia de "Il Signore degli Anelli", dal cui cast, tra l’altro, proviene John Rhys-Davies, ma bisogna osservare che l’opera di Peter Jackson rappresenta ormai un vero e proprio punto di riferimento per tutti coloro che desiderano cimentarsi in avventure su celluloide incentrate su maghi e guerrieri.
Con un Burt Reynolds visibilmente svogliato e un Ray Liotta fuori parte a rappresentare le note dolenti dell’operazione, però, a tornare alla memoria durante la visione sono soprattutto rozzi prodotti fantasy degli Anni Ottanta del calibro de "L’anello incantato" (1985) di Héctor Olivera e il suo pseudo-sequel "Il regno dei malvagi stregoni" (1989) di Charles B. Griffith, concepiti all’ombra del successo riscosso da titoli come "La storia infinita" (1984) e "Legend" (1985) e ai quali si guarda oggi con una certa nostalgica tenerezza.
Infatti, al di là della presenza d’immancabili effetti digitali, la sola figura dei Krug non può fare a meno di ricordare le creature che affollavano lo schermo fiabesco del decennio dei Duran Duran; mentre Boll distribuisce a dovere l’azione nel corso dei circa 127 minuti di durata, forte non solo di un buon cast di volti noti quali il bravo Matthew"Scream"Lillard e il mai disprezzabile Ron"Hellboy"Perlman, ma anche delle coreografie di combattimento per mano di Tony Ching alias Ching Siu-Tung, il cui curriculum, oltre a "Shaolin soccer" (2001) e "La foresta dei pugnali volanti" (2004), comprende la regia della serie "Storie di fantasmi cinesi".
Il risultato finale, quindi, rientra pienamente nella media e, pur non spingendo a gridare al capolavoro, ci lascia tranquillamente intuire che, a differenza di quanto la critica continui ad insinuare, il regista di "Alone in the dark" (2005) non sia affatto il peggiore tra quelli viventi.

La frase:
- "Nel tuo mondo non ci si inchina davanti al re?"
- "Nel mio mondo l’esercito del re protegge il regno, non solo il castello".

Francesco Lomuscio

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