In Paraguay
Dagli Stati Uniti al Paraguay la distanza non è tanta solo in termini di kilometri, sono due mondi diversi. E così quando il documentarista americano Ross McElwee, uno dei più apprezzati cineasti indipendenti onorato anche di una retrospettiva al MOMA nel 2005, ha saputo che la figlia da adottare che da tempo aveva richiesto assieme alla moglie, sarebbe stata una neonata paraguaiana da andare a prendere ad Asuncion, ha imbracciato la macchina da presa e ha cominciato a documentare tutta l’esperienza. I preparativi del viaggio, l’arrivo nella capitale sudamericana, i primi contatti con la bambina, i problemi relativi all’affidamento e, dato il protrarsi dell’iter burocratico, la conoscenza del Paese.
Si parte dal piccolo, dalla propria storia, per conoscere un Paese sempre stato a margine della curiosità del mondo. Povero, ma non abbastanza da attrarre l’interesse mondiale. Corrotto, ma non sufficientemente per scatenare le ire di un popolo che ha la sua più grande qualità in uno spirito sempre positivo e sorridente. La curiosità che spinge McElwee ad informarsi sulla storia e sull’attualità della nazione che ha dato i natali a quella che spera essere sua figlia, è di tipico approccio americano (un pò come il Michael Moore, comunque buono, di Sicko). Ci si stupisce ogni tanto di cose ovvie, quando si parla di Storia ci si ferma (almeno così appare nel film) alle notizie generali cercando una ragione principale su cui far cadere qualsiasi problematica anziché articolare un discorso ricco di elementi e ragioni. Ingenuità più che superficialità, emergono comunque le buone intenzioni e questo fa sì che i concetti, a loro modo, comunque passino.
La forma, purtroppo, quella di un film fatto in casa. E’ vero che McElwee è un apprezzato professionista, oltretutto insegnante di regia a Harvard, ma si parla comunque di un film realizzato per caso, iniziato come diario personale, con nessuna finalità di distribuzione.
Il ritmo non è incalzante, le scene intimo-familiari sono carine nel dettaglio, ma rallentano un ritmo di narrazione già non incalzante. Ne esce un film interessante per alcuni concetti, ma privo di quella forza espressiva che dovrebbe essere propria di un documentario cinematografico.

La frase: "Qui il tempo sembra essere un’entità diversa".

Andrea D’Addio

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