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In guerra per amoreLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato12 ottobre 2016Voto: 8.5
E’ il 1943 e, mentre il mondo è nel pieno della seconda guerra mondiale, Arturo vive la sua travagliata storia d’amore con Flora. I due si amano, ma lei è la promessa sposa del figlio di un importante boss di New York. Per poterla sposare, il nostro protagonista deve ottenere il sì del padre della sua amata che vive in un paesino siciliano. Arturo è un giovane squattrinato che ha un solo modo per raggiungere l’isola: arruolarsi nell’esercito americano che sta preparando lo sbarco in Sicilia, l’evento che cambierà per sempre la storia della Sicilia, dell’Italia e della Mafia. Questa la trama di “In guerra per amore”, il nuovo film di Pif, il quale - dopo “La mafia uccide solo d’estate” - colpisce ancora con un progetto che non è solo drammatico, ma ha in sé alcuni elementi di forte comicità.
Se pensavate di assistere a un lungometraggio basato sull’amore tra due giovani, vi sbagliate di grosso. Pierfrancesco Diliberto, acclamato da critica e pubblico per il suo ultimo film, ha in serbo una grande sorpresa per tutti i cinefili. La pellicola, infatti, mostra il modo in cui la sua regione, la Sicilia, ha affrontato la guerra, dando allo spettatore un veritiero quadro di quanto fosse difficile ‘sopravvivere’ in quel periodo. Il film vede protagonista una Sicilia devastata dai bombardamenti, dove trovare qualcosa da mangiare sembra quasi un’utopia e dove, nonostante ciò, ad emergere è un mondo fatto di pregiudizi e tradizione: evitare la circolazione di ‘voci compromettenti’ in tutto il paese, salvaguardare la propria reputazione e tenere fede alla parola data sembrano contare più della Seconda Guerra Mondiale. A rendere più credibile la narrazione è senza ombra di dubbio la scelta di mantenere il dialetto siciliano per tutta la durata del film, un elemento che più volte susciterà nel pubblico una sana risata per via della sua comprensione alquanto difficoltosa. Il regista racconta la sua verità attraverso il punto di vista di un uomo che ama la sua terra, ma - accorgendosene solo quando ormai la minaccia era diventata troppo potente per essere evitata - si ritrova solo nella ‘lotta’ contro la Mafia. Non mancano le scene drammatiche (alcune colme di una tristezza infinita), che si alternano in modo equilibrato a quelle più improntate verso la comicità (poche, ma buone) e regalate in particolare da due personaggi che per campare sono costretti a rubare. Gli attori presenti sono tutti perfettamente in parte, anche se ci saremmo aspettati qualcosa in più dall’interpretazione di Pif, il cui personaggio (Arturo) è apparso un po’ finto. E’ certo però che non ha deluso come regista in quanto - con il suo stile, le sue inquadrature - è riuscito a mettere in luce tutte le emozioni provate dagli stessi personaggi, facendo sentire il pubblico molto vicino a loro, alla loro condizione. Il progetto nasconde in sé un significato più profondo, una valenza di carattere politico in quanto è volto a delineare il modo in cui la Mafia, grazie all’appoggio della Democrazia Cristiana, ha preso il sopravvento dopo lo sbarco degli americani sull’Isola, senza lasciar spazio al Partito Comunista. E’ come se il regista si stesse chiedendo “come sarebbe andata se i comunisti avessero avuto la possibilità di governare?” Nella pellicola, inoltre, emerge il contributo dato dall’esercito americano per l’ascesa (attraverso corruzione e scambi di favore) dell’organizzazione criminale più potente e strutturata del mondo nel territorio siculo. Chiaramente c’è anche chiarirà cosa stia realmente succedendo e cercherà di prendere in mano la situazione, anche se non sempre è possibile. Un altro tema trattato è quello della fede in generale, perché non esiste solo quella nel Signore. La fede può essere espressa in diversi modi: da quella religiosa a quella nei confronti di Mussolini e il suo operato, ma anche la fede nei soldati che rischiavano la vita ogni giorno per tornare dalle proprie famiglie. Questa parola può essere considerata sinonimo di ‘speranza’, ‘fiducia’, ’cambiamento’, perché in guerra una delle cose più importanti era credere che tutto sarebbe finito al più presto. Solo così, probabilmente, trovavano la forza di sopportare un’altra giornata. La pellicola, però, mostra anche un altro lato della medaglia: se da una parte la fede aiuta a sopravvivere, dall’altra potrebbe non bastare. Pif sembra volerci dire che contro la guerra - e più in generale le catastrofi causate dagli uomini - la fede non può nulla e lo fa mettendo a confronto la statua di una Madonna e quella di Mussolini. Qualcuno vince, qualcuno perde. Non sempre, però, - quando si prende coscienza di cosa in realtà stia accadendo, o si smette di credere in qualcuno - è possibile dimenticare, allontanare la causa delle nostre sofferenze. La storia è un qualcosa che rimane e non può essere cancellata, neanche volendo. Questo è ciò che traspare da una delle scene finali del progetto, che vi consigliamo con estremo piacere, anche se tutta la situazione viene sviluppata in modo semplicistico. Qui emerge la volontà del regista di dare vita a un film dotato di una grande leggerezza, che possa essere adatto anche ad un pubblico più giovane. La frase dal film:
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