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Il temporale
A 14 anni da "Zen" ambientato nel noto quartiere palermitano, Gian Vittorio Baldi torna al suo cinema "sul campo" con un film che si svolge in Bosnia, ai tempi della sanguinosa guerra.
Eppure la Bosnia qui sembra quasi un pretesto per narrare una guerra che purtroppo è la guerra di sempre, in ogni parte del mondo. Il film inizia con una morte vera ma anche simbolica: è la purezza che se ne va e non tornerà mai più. E quella morte (che si porta dietro tutta la vita che c'era "prima"), è il punto di partenza e di arrivo del racconto, narrato in modo quasi pirandelliano da quattro punti di vista diversi. La struttura del film, quasi circolare, vive di quell'istante. Nel mezzo, un amore impossibile, l'inconsapevolezza dei bambini, i soldi che servono per comprare anche solo un po' di caffè e la disperazione della gente per una guerra che è entrata dentro ognuno.
Certamente il pregio principale di questo film è proprio nella descrizione della guerra che intossica l'anima. Qui non ci sono scene di battaglie o soldati in trincea c'è soltanto la tragedia di una vita quotidiana, quella delle piccole cose, che non è neanche più vita.
Il racconto mette a fuoco come il baluardo delle religioni che scatenano le guerre non vale per la "gente" che si affanna per potere almeno sopravvivere. Nel film, musulmani, ebrei, ortodossi, cattolici vivono insieme, quasi a significare un'unione che va al di là di eventi tragicamente enormi. Baldi rafforza questa convinzione facendo parlare la gente con il dialetto della sua Emilia Romagna, accostando monumenti bosniaci con architetture di Brisighello in quelle "finestre" che sono delle cartoline colorizzate che spezzano il film.
Il personaggio più caratterizzato sembra quasi un personaggio "storico" (d'altra parte arriva da una tradizione letteraria tipicamente slava) ed è invece un usuraio (interpretato dal bravissimo Miodrag Trifunov) alla ricerca di una purezza che ha perso da sempre.
Tutto questo rappresentato con una sincerità quasi documentaristica (Baldi d'altronde viene da quella scuola), senza l'uso della luce artificiale e l'utilizzazione costante della macchina a mano che portarono il nostro regista, molti anni fa, a firmare un manifesto che ha molti punti in comune con quello più recente del "Dogma".
Nello scontro tra realtà e sogno, guerra e vita, opinione e verità il film ci racconta l'impossibilità di andare avanti se si è in guerra con le persone che ci sono accanto e quindi con noi stessi. Eppure al di là di un ponte che bisogna attraversare (qualsiasi ponte, e nel film c'è veramente quel ponte ), forse ha smesso di piovere.
Renato Massacesi
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