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Il ragno rossoLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato16 gennaio 2017Voto: 3.0
Un serial killer, un promettente tuffatore e una serie di omicidi sono gli ingredienti principali de “Il ragno rosso”, il film diretto dal regista polacco Marcin Koszalka e incentrato sul giovane di buona famiglia Karol. Una sera, al luna park, quest’ultimo trova il cadavere di un bambino assassinato e collega il fatto all'uomo che ha visto andarsene da solo e in sordina poco prima. Karol decide di non raccontare l'accaduto alle autorità e di agire da solo per scoprire se il bambino è l'ennesima vittima del misterioso serial killer soprannominato "il ragno rosso". Riesce a rintracciare l'uomo misterioso, un apparentemente innocuo veterinario, e a incontrarlo: è lui l'assassino? Karol è mosso dal desiderio di fare giustizia? I due si incontrano, si studiano e prende corpo una vicenda giocata sulla relazione tra il giovane protagonista e il presunto assassino e sui loro più reconditi risvolti emotivi.
Ispiratosi alla storia vera di Karol Kot, serial killer soprannominato "il vampiro di Cracovia" e vissuto nella Polonia di fine anni '60, Koszalka con “Il ragno rosso” sembrava voler realizzare un’opera psicologicamente forte. Il regista non è riuscito nell’intento in quanto non solo i personaggi principali sono dotati di poco spessore e mantengono la stessa espressione per tutto il film (come se nulla di tutto ciò che stava succedendo li toccasse un minimo), ma non vengono caratterizzati al meglio nei comportamenti e nelle emozioni. Possiamo dire che la pellicola e l’empatia non viaggiano sulla stessa linea. Il film è stato definito un ‘noir psicologico’, ma degli aspetti caratteristici del genere non vi è alcuna traccia: dov’è la suspense? Dov’è quel bisogno di indagare nell’animo dei protagonisti? Dove sono quel ritmo incalzante e quella colonna sonora da brividi? Nel progetto non è presente nulla di tutto ciò. La musica al margine della storia è quasi inesistente. Solo ogni tanto emerge un suono lento e poco travolgente dal punto di vista emotivo. Il ritmo della narrazione è così lento che il pubblico potrebbe fare fatica a mantenere la concentrazione per tutta la sua durata. Come già citato, l’interpretazione lascia molto a desiderare. Tutti gli attori presenti (dal primo all’ultimo) sembrano incapaci di esprimere emozioni vere e naturali con corpo, mimica facciale e parole. A mancare è senza dubbio quella dose di tensione che solitamente caratterizza il noir e che non viene percepita neanche nelle scene più incisive. Il regista non dà il giusto peso a ogni elemento della storia, perdendosi nei momenti più salienti della pellicola. Altra pecca da non sottovalutare sono i dialoghi fin troppo brevi e diretti perché spesso, in questo caso particolare, non aggiungono nulla alla vicenda principale. Un altro problema rilevante sta nella logica del susseguirsi di scene. È vero che il ritmo non è coinvolgente, ma è altrettanto palese che il regista pone una di fianco all’altra situazioni difficili da collegare tra loro: si passa quindi da una scena all’altra senza un vero e proprio filo conduttore, elemento che non aiuta il pubblico a mantenere l’attenzione. Ci sono dei grossi buchi narrativi che, a detta del regista, sono volontari ma che, allo stesso tempo, non giovano alla riuscita del film. Diventa così complicato comprendere i motivi che spingono i diversi personaggi a compiere determinate azioni e scelte. Senza soffermarci poi sulla poca profondità data a scene che racchiudevano in sé tutto il senso della pellicola. Se non si conosce la trama, inoltre, all’inizio è difficile capire il ruolo dei personaggi presenti perché non vengono descritti ma solo introdotti. Nonostante tutti gli aspetti negativi, il film vanta un’ottima fotografia e vede la presenza di momenti che non sono adatti alla visione dei bambini. La frase dal film:
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